Sono passate poco piu’ di 72 ore dal rinnovo della fiducia al governo da parte del Senato e la situazione sembra gia’ tornata al punto di partenza. Il ”tiro alla fune” tra Pdl e Pd, come l’ha definito qualcuno, prosegue imperterrito come se niente fosse accaduto. I moniti di Bankitalia sugli effetti perversi dell’instabilita’ sono stati completamente ignorati.
A Enrico Letta non e’ servito nemmeno togliere dal tavolo l’ipotesi del rimpasto per calmare le acque: ai democratici che continuano a chiedere un passo indietro di Angelino Alfano, sebbene cio’ sia ovviamente poco realistico, replica il capogruppo del Pdl Renato Brunetta con un rilancio altrettanto improbabile (piu’ ministeri al centrodestra in nome della ”pari dignita”’ e patto di legislatura). L’interrogativo e’ che cosa significhi questo braccio di ferro e fin dove lo si voglia protrarre. Secondo i renziani, esponenti ”di spicco” del Pd sarebbero pronti a rischiare una crisi di governo pur di rinviare il congresso del partito: in altri termini, alzerebbero la voce nei confronti degli alleati per far saltare il banco e ottenere per questa via piu’ tempo per organizzare una strategia capace di sbarrare la strada al sindaco di Firenze. Con la complicita’ di settori del Pdl, e’ il sospetto. In realta’ questa sembra una teoria ai confini della fantapolitica: soprattutto a causa della grave crisi che sta attraversando il nostro Paese e che non consente tatticismi di tale natura. Del resto Guglielmo Epifani ha ribadito che il congresso si terra’ regolarmente entro l’anno: e’ vero che manca ancora la data (e soprattutto non ci sono le famose ”regole”) ma il pressing dei renziani non puo’ essere eluso. Goffredo Bettini, uno dei registi della candidatura del leader rottamatore, invita gli avversari ”a non pensarci neppure” a piani di insabbiamento.
Le tensioni interne alla Grande Coalizione sembrano piuttosto figlie delle contraddizioni intrinseche alle larghe intese. Lo dimostra l’aspro dibattito in corso sulla legge contro l’omofobia (una parte del Pdl ha chiesto una moratoria, ma l’anima laica del centrodestra non e’ d’accordo) e soprattutto l’alone di incertezza che circonda la manovra economica. Come denuncia Bruno Tabacci, il ”decreto del fare” non basta per rimettere in moto la crescita, servirebbe piuttosto un’azione decisa di taglio e di riqualificazione della spesa pubblica per rispondere alle opposizioni che criticano il ”governo del rinvio”. Su questo punto sono d’accordo un po’ tutti ma e’ chiaro che si tratta di una operazione gigantesca e complessa che ha bisogno di ben altri tempi. Per ora il confronto non puo’ che essere limitato a quei temi (Imu, Iva, lavoro) che sono stati messi al centro dell’azione dell’esecutivo. Cercando di scongiurare la manovra correttiva temuta dalle opposizioni e che finirebbe per svuotare le iniziative finora messe in campo dal governo. Restano sulle sfondo due incognite: l’instabilita’ politica che secondo il governatore di Bankitalia e’ il principale ostacolo alla ripresa e agli investimenti stranieri in Italia; e la politica dell’austerity che tanti danni ha gia’ causato. Sandro Bondi dice che se non si riuscira’ a fermare Berlino, le catastrofiche profezie di Casaleggio sui disordini sociali (condivise dal ministro Delrio) si potrebbero avverare. Ma il governo italiano in questo momento non ha la forza per porsi alla testa di un movimento europeo di revisione del fiscal compact.
































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