Il Governo presieduto da Enrico Letta e che ha come vice premier Angelino Alfano ha iniziato il suo cammino, con un programma denso, in parte condivisibile, ma anche con qualche perplessità. Tuttavia, il tema che vorremmo esaminare non è tanto il programma di questo governo, le promesse che ha fatto, quello che riuscirà a mantenere, il tempo che durerà. Avremmo tempo e modi per intervenire sui singoli aspetti. La vera questione sta nella domanda di fondo: cosa rappresenta questo governo? Ed esso costituisce una svolta, come si dice da tante parti, nella politica nazionale per i prossimi anni?
In primo piano vi è ovviamente l’intesa tra i due maggiori partiti delle coalizioni avversarie durante le ultime elezioni politiche, il Partito Democratico ed il Popolo della Libertà. Ma quali “parti” di questo partito sono coinvolte?
La prima osservazione che viene formulata è il fatto indiscutibile che nel governo, sia per la “parte PD” che per la “parte PDL” sono presenti personaggi che o provengono dalla Democrazia Cristiana o dal mondo cattolico o ne sono culturalmente vicini. Basta fare i nomi di Letta e Franceschini, Alfano e Lupi, Del Rio e Mauro, Pistelli e Bubbico, Baretta e Dell’Aringa per trovarvi quella origine, cui fa da contrappeso l’esclusione di personaggi appartenenti da un lato all’area comunista o socialista (rappresentata in effetti solo da Fassina) e dall’altro a quella di “destra” per come si era manifestata per esempio in Alleanza Nazionale, rappresentata dal sottosegretario Giorgetti (Alberto).
Ed allora, a nostro parere, si sta profilando un futuro politico in cui una parte piuttosto consistente dei due partiti contrapposti ha compreso che il conflitto permanente è paralizzante ed infruttifero. Pertanto, ricordandosi delle loro origini o culture di riferimento, stanno riscoprendo il ruolo del “centro”: un centro che ipoteticamente in futuro vedrà nascere un agglomerato politico per governare. Come sarà composto? Potrebbe avvenire che nel PD ci sia una scissione per spingere gli ex-comunisti ad un alleanza con il SEL, con parte dei “grillini” e con quello che resterà di Rifondazione Comunista e simili. Nel PDL invece, visto che la maggioranza del partito è d’accordo con quelle posizioni, vi sarà – soprattutto se la guida di Berlusconi dovrebbe attenuarsi per qualsiasi motivo dopo l’exploit di queste ultime elezioni – un’ulteriore e magari definitiva esclusione degli esponenti provenienti dalla Destra (ridottisi ormai al 6% degli attuali deputati) e una sempre più spinta marginalizzazione anche degli ex-socialisti (Brunetta, Cicchitto, Sacconi, ecc.).
Se questo scenario si realizzerà in tempi più o meno lunghi, si ritornerà ad una situazione di “prima repubblica” (come ha commentato euforico Cirino Pomicino sul “Corriere della Sera”) che, avvalendosi anche dell’apporto di una legge elettorale con collegi maggioritari, escluda le ali “estreme”: da un lato ex-comunisti ed alleati, dall’altro la Destra cui potrebbe essere assimilata anche la Lega.
Ed allora, quale spazio resterebbe alla Destra in vista di questa ipotesi non tanto peregrina? Anche perché sarebbe grave se un movimento politico di destra non fosse più presente in Parlamento dopo quasi settant’anni: nel passato abbiamo avuto l’Uomo Qualunque, il Msi, AN, rappresentati da personaggi autorevoli, competenti, coerenti ed appassionati.
Oggi, l’unico gruppo politico alla Camera dei Deputati che in qualche modo rappresenta quell’esperienza è “Fratelli d’Italia” con la sua pattuglia di nove deputati (il Msi iniziò con sei…) il quale gruppo non ha votato la fiducia al Governo Letta/Alfano.
Ora però i suoi dirigenti dovrebbero comprendere l’importanza e la gravità della possibile svolta storica qui ipotizzata, ed attrezzarsi organizzativamente ed anche culturalmente per raccogliere questa sfida. Certamente non su basi nostalgiche, ma con coerenza rispetto ad una visione politica nazionale e sociale che non era venuta mai meno nei diversi passaggi. Gli altri movimenti, a cominciare dalla “Destra” di Storace, peraltro indebolita anche dalla dolorosa scomparsa del suo tenace ed instancabile animatore Teodoro Buontempo, ed altri gruppi minori, anziché continuare a percorrere vie elettorali individuali senza alcuno sbocco, dovrebbero cominciare a porsi questo problema per cercare di riunire le forze ed i militanti. Quei militanti che poi ritroviamo sempre compatti ai funerali (ma anche ad iniziative pubbliche come la contestazione alla possibile elezione di Prodi ed alla difesa dei nostri “Marò” prigionieri in India) i quali forse gradirebbero sentirsi tutti appartenenti alla stessa organizzazione.
Questo problema però non può lasciare indifferente la residua pattuglia presente nel PDL, rappresentata ormai solo da Gasparri e Matteoli, la quale – se non vuole ridursi a preoccuparsi solo del proprio destino personale – dovrebbe riflettere sulle ormai scarsissime possibilità future di rappresentare l’area politico-culturale di destra all’interno di quel partito, in vista dello scenario sopra delineato, e prendere le opportune decisioni.
Sono questi tutti spunti sui quali le forze politiche e culturali della destra italiana devono attentamente riflettere.
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