«Nelle ultime settimane il regime di Nicolás Maduro ha ulteriormente inasprito la repressione in tutto il Venezuela. Da quando è iniziata la crisi diplomatica con gli Stati Uniti, gli arresti si susseguono al ritmo di uno o due al giorno: solo nel mese di ottobre se ne contano tra i quaranta e i cinquanta».
A denunciarlo è Sairam Rivas, 32 anni, attivista per i diritti umani e membro del Comitato dei familiari per la libertà dei prigionieri politici in Venezuela, in un’intervista rilasciata a Il Gazzettino.
Rivas, leader della protesta studentesca del 2014, conosce in prima persona la durezza del regime: è stata incarcerata per cinque mesi.
Da dieci mesi, inoltre, il suo compagno Jesús Armas è detenuto nel famigerato centro di detenzione El Helicoide, dopo essere stato sequestrato da uomini incappucciati e portato via a bordo di un’auto senza targa.
«El Helicoide è l’inferno in terra», racconta, «un edificio nato come centro commerciale e divenuto il simbolo della repressione di Stato».
Secondo Rivas, i prigionieri politici attualmente detenuti in Venezuela sono tra i mille e i millecento. Tra loro, 182 donne e quattro adolescenti.
180 PERSONE SCOMPARSE
«Oltre 180 persone risultano scomparse: le famiglie non sanno dove si trovino», denuncia l’attivista.
«Ogni giorno finiscono in carcere politici, sindacalisti, giornalisti o cittadini che hanno semplicemente partecipato alla campagna elettorale dell’opposizione per il voto del 28 luglio. Il numero reale dei detenuti è difficile da determinare, perché molte famiglie hanno paura di parlare delle condizioni dei loro cari».
MERCE DI SCAMBIO
Tra i prigionieri politici figura anche l’italiano Alberto Trentini. «È uno dei detenuti che il regime utilizza come merce di scambio nei negoziati con altri Paesi», spiega Rivas, «in cambio di denaro o di riconoscimenti politici, come quello della presunta vittoria di Maduro alle elezioni del 28 luglio».
Trentini è rinchiuso nel centro di detenzione Rodeo 1, noto per le torture inflitte ai detenuti politici. «Le condizioni lì sono persino peggiori che altrove. Ai familiari non è consentito portare cibo o vestiti, e quando riescono a entrare devono farlo incappucciati».






























