Per primo fu Celentano, il Molleggiato, voce maschia e ritmo nel sangue, rude e tenero interprete di indimenticabili canzoni che hanno segnato un’epoca. Fu la televisione cosiddetta alternativa a corromperlo, a guastarlo, a farne una specie di querulo grillo parlante, a trasformarlo in un noioso predicatore di cui nessuno sentiva il bisogno, a spegnere le emozioni che aveva saputo suscitare per anni e perfino il ricordo di quel suo talento speciale, un po’ naif e un po’ avanguardia. Abbiamo perso tanto, perdendo il cantante, e non ci abbiamo certo guadagnato nel cambio.
Adesso tocca a Vasco Rossi, rimasto impigliato nella rete di Facebook, dove un giorno si’ e l’altro pure delizia i suoi fan con esternazioni sconcertanti, nel vero senso della parola: esternazioni che fanno dimenticare i concerti megagalattici di un rocker straordinario e imprevedibile e fanno pensare a un vecchio rabbioso, invidioso dei più giovani talenti, e pieno di se’.
Se si limitassero a fare quello che sanno fare, senza aggiungere spiegazioni e commenti, se ci lasciassero sognare con le loro canzoni, e ciascuno di noi fosse libero di immaginare il mondo che vuole, questi artisti potrebbero fissare le loro impronte sul red carpet delle stelle più splendenti senza timore che il tempo le cancelli; ma a un certo momento della loro vita vogliono parlare, vogliono sentirsi ancora più importanti, e sputano sentenze che li trasformano in patetiche macchiette. Un po’ di mistero sui loro pensieri e sui loro comportamenti gioverebbe invece alla causa della musica più popolare.
Non voglio fare paragoni blasfemi, ma mi viene il dubbio che se avessi sperimentato da vicino quel poeta Gozzano che ha accompagnato e consolato le fasi più delicate della mia esistenza, forse la mia devozione non sarebbe durata cosi’ a lungo. Come per ogni storia d’ amore, è la conoscenza a rovinare tutto.
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