Roma – “Dimettermi? Non ne vedo il motivo”. La secca risposta del ministro degli Esteri Giulio Terzi a chi chiede le sue dimissioni per la vicenda dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone arriva oggi dalle pagine di Repubblica, nel corso di una lunga intervista pubblicata sul quotidiano di Ezio Mauro. “Le dimissioni, se è per questo, me le chiedono sin da quando la nave Enrica Lexie è attraccata nel porto di Cochi, con polemiche e strumentalizzazioni che ritengo del tutto ingiustificate – aggiunge Terzi, noto agli italiani nel mondo anche per il legame di amicizia e stima che lo ha sempre unito a Mirko Tremaglia – In questi mesi abbiamo lavorato con impegno, cercando sponde diplomatiche e giuridiche per risolvere la situazione”. Non la pensano così i numerosi parlamentari ed esponenti politici che, in queste ore, continuano ad accusarlo di non aver saputo gestire la situazione tanto che, su twitter, è già partito il tormentone con l’hashtag #terzidimettiti lanciato soprattutto dal Pdl, da sempre apertamente schierato a favore del rimpatrio dei due marò. Sembra che il partito di Berlusconi, da sempre accusato di aver causato danni alla credibilità internazionale dell’Italia, non vedesse l’ora di poter rispedire al mittente le accuse.
In prima fila Guglielmo Picchi, unico superstite del Pdl nella circoscrizione estero, secondo il quale “Terzi si deve dimettere”. Per Maria Stella Gelmini “con la scelta del governo Monti di rimandare in India i due marò, l’Italia torna ad essere sul piano internazionale debole ed inaffidabile”, secondo Roberta Angelilli “dopo la decisione surreale del governo Monti di rimandare i marò in India, la credibilità internazionale dell’Italia è uguale a zero”.
Non usa mezze parole Daniele Capezzone: “Maro’, ecco la “credibilità di Monti e Terzi… Italia umiliata e ridicolizzata” e anche Deborah Bergamini insiste sullo stesso punto parlando di “Incredibilità internazionale”. Da Fratelli d’Italia giunge lo sfogo di Giorgia Meloni: “La più grande umiliazione diplomatica dalla nascita dello Stato italiano. Propongo di spedire Monti e Terzi in India al posto dei marò” mentre, dal Pd, arriva il tweet di Paolo Gentiloni: “La storia dei Marò ha tutta l’aria di un complotto italiano contro l’Italia. Le dimissioni di Terzi sarebbero doverose”. E il diretto interessato che cosa risponde? Terzi, sempre molto attivo nel cinguettio in rete, non commenta e preferisce affidare la sua versione dei fatti alle colonne di Repubblica.
Secondo il ministro “la situazione si sta normalizzando e non stiamo mandando i nostri militari allo sbaraglio, incontro ad un destino ignoto. Non rischiano la pena di morte”. Una consolazione che appare molto magra agli occhi di tanti connazionali, ma che, stando alle parole di Terzi, sarebbe addirittura un importante risultato. “Senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo indiano le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel Paese e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il reato di cui sono accusati. Su questo adesso non abbiamo più preoccupazioni”.
“Le cose vanno viste in una luce diversa. È nostra opinione che non ci siano più le preoccupazioni che avevamo in precedenza, l’accordo con l’India prevede che il caso in questione, per le sue modalità, non rientri tra quelli in cui possa comminarsi la pena massima prevista dal loro codice”. “Ritengo che la mossa di riportarli in Italia e comunicare che non sarebbero rientrati abbia avuto l’effetto che ci aspettavamo, clamore a parte – arriva a dire Terzi in uno slancio di ottimismo -. Le iniziative delle procure militari e civili inoltre hanno dimostrato che anche dal punto di vista della nostra giustizia Roma non sta con le mani in mano”.
Anche se la Farnesina rappresenta il primo referente istituzionale della vicenda, la decisione di non trattenere più i due marò è stata presa di comune accordo nel corso di una riunione molto agitata che si è svolta giovedì 21 marzo tra Giulio Terzi, il presidente del Consiglio Mario Monti e i ministri dell’Interno Anna Maria Cancellieri, della Difesa Giampaolo Di Paola, della Giustizia Paola Severino, dell’Economia Vittorio Grilli, dello Sviluppo Corrado Passera e i sottosegretari Antonio Catricalà e Gianni De Gennaro riuniti nel Cisr, il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica. “All’interno del consiglio ci sono state sensibilità diverse tra i ministri – ha raccontato Terzi -, ma tutti hanno lavorato a fondo con la volontà di trovare una soluzione che fosse equa, che ripristinasse dei regolari rapporti diplomatici con l`India e che ci desse garanzie sulla sorte dei nostri fucilieri”.
I due marò, ripartiti alla volta dell’India proprio questa notte, risiederanno nell’ambasciata di New Delhi e avranno libertà di movimento in attesa dei prossimi sviluppi giudiziari. Ma come si è giunti a una situazione da molti definita “paradossale”?
LA CRONISTORIA Questo complicato intreccio internazionale inizia il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani di 45 e 26 anni, Valentine Jalstine e Ajesh Binki, vengono uccisi da colpi di arma da fuoco a bordo della loro barca al largo delle coste del Kerala, nel sud-ovest dell’India. Della loro morte vengono accusati i due marò in servizio anti-pirateria sulla petroliera Enrica Lexie, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che però sostengono di aver sparato in aria come avvertimento.
Secondo gli italiani i colpi sarebbero stati sparati in seguito a una manovra sospetta del peschereccio indiano St. Antony, scambiato per una nave pirata. Secondo gli indiani, invece, la manovra della St. Antony nei confronti della Enrica Lexie sarebbe stata pacifica e volta a dare la precedenza alla petroliera italiana. La reazione dei militari italiani appare quindi esagerata e non aderente alle normali procedure, soprattutto perché i marinai della St. Antony non erano armati. Il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali a sud dell’India e questo fa complicare ulteriormente la vicenda, che si è intrecciata alla politica locale indiana portando i due marinai italiani a rimanere in stato di arresto in India e causando la lunga vicenda legale nota a tutti e che vede l’Italia contestare le posizioni dell’India e chiedere un arbitrato e una corte internazionale che si occupi del caso.
Dopo aver passato quasi tre mesi nel carcere indiano di Trivandrum, capitale dello Stato federale del Kerala, il 25 maggio 2012 i due fucilieri della Marina vengono trasferiti in una struttura a Kochi e viene loro concessa la libertà su cauzione, con il divieto di lasciare la città. Il 20 dicembre 2012 viene accolta la richiesta di un permesso speciale per trascorrere il Natale in Italia, con l’obbligo di tornare in India entro il 10 gennaio in cambio di una garanzia di 800mila euro da parte del governo italiano. Stavolta i patti vengono rispettati e, dopo aver trascorso in famiglia le festività natalizie, i due marò ripartono il 3 gennaio.
Pochi giorni dopo, il 18 gennaio, la Corte Suprema indiana stabilisce che il governo del Kerala non ha giurisdizione sul caso e dispone che il processo venga affidato a un tribunale speciale da costituire a New Delhi e si giunge così al 22 febbraio, quando la Corte Suprema indiana concede ai due fucilieri di tornare in Italia per permettere loro di votare. Il permesso aveva la scadenza del 22 marzo, ma l’11 dello stesso mese il ministero degli Esteri annuncia che l’accordo non sarebbe stato rispettato e che Latorre e Girone sarebbero rimasti in Italia. Questa decisione innesca una serie di polemiche internazionali e tanto che il governo indiano si sente legittimato a trattenere l’ambasciatore italiano Daniele Mancini violando di fatto il diritto all’immunità diplomatica e rendendosi autore di un atto molto grave.
LE REAZIONI IN INDIA E IN ITALIA Al di là delle versioni ufficiali, in rete e sui giornali circolano diverse ricostruzioni a partire dall’idea secondo la quale la scelta dell’11 marzo fosse stata assunta da Terzi e dal suo ministero senza il doveroso coinvolgimento del resto del governo, tema che sarebbe stato dibattuto nel corso dell’agitata riunione interministeriale di giovedì. Inoltre, secondo altre ricostruzioni, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe fatto pressioni per ottenere che il governo rispettasse la parola data sul ritorno a New Delhi dei marinai.
La tensione crescente tra i due Paesi, e il triste isolamento nel quale l’Europa abbandona l’Italia decidendo di non “intromettersi” nella questione, spinge il ministro Terzi e il governo Monti a fare dietro-front e ‘rispedire’ i due marò in India. La notizia viene accolta favorevolmente dal ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, che si dichiara disponibile a studiare una soluzione condivisa tra le due diplomazie, ma non ottiene lo stesso gradimento in Italia dove, come era prevedibile, l’atteggiamento della Farnesina è al centro di accuse sferzanti e aspre polemiche. Si può trattenere e rispedire da un Paese all’altro, come fossero pacchi, due persone? In Italia, a quanto pare, sì.
L’EDITORIALE Italiani all’estero, marò: una figuraccia davanti al mondo – di Ricky Filosa
































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