Mentre tutti, o quasi, gli eletti all’estero sembrano essere ancora in vacanza, chi a godersi i mari del Sud chi a sciare sulle montagne innevate, la politica italiana non conosce pause. Così come non conoscono pausa tanti italiani all’estero in difficoltà. Per esempio quelli che sono residenti nella Repubblica Dominicana, alle prese con la chiusura dell’ambasciata e con un futuro incerto davanti a loro; oppure quelli che ancora non hanno trovato i quattrini per pagare le tasse sulla loro prima abitazione in Italia, ancora discriminati rispetto ai propri connazionali residenti in Patria.
Ebbene, fra i 18 eletti oltre confine, c’è chi è rimasto attivo anche durante le feste. E’ il caso di Aldo Di Biagio, senatore di Area Popolare, che da prima di Natale si sta occupando da vicino di una situazione delicatissima che riguarda Massimo Romagnoli, connazionale arrestato in Montenegro il 16 dicembre 2014 con la pesantissima accusa di traffico d’armi.
Ricordiamo che Massimo Romagnoli è un ex parlamentare italiano, attualmente membro del CGIE, il Consiglio Generale degli italiani all’estero, ed è un esponente di punta di Forza Italia in Sicilia.
Di Biagio è anche andato a trovare Romagnoli in carcere a Podgorica, il 2 gennaio scorso. E oggi il senatore eletto all’estero nella ripartizione Europa ha presentato una interrogazione scritta sul caso, inviata al ministro della Giustizia, a quello dell’Interno e al ministro degli Affari Esteri.
Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale dell’interrogazione parlamentare a risposta scritta.
INTERROGAZIONE SUL CASO ROMAGNOLI
Interrogazione a risposta scritta
Al Ministro della Giustizia
Al Ministro dell’Interno
Al Ministro degli Affari Esteri
Premesso che
lo scorso 04 dicembre 2014 è stata spiccata una richiesta di arresto internazionale, a fini di estradizione, dal Manhattan Attorney di New York nei confronti dell’onorevole Massimo Romagnoli, già deputato nella XV legislatura;
le accuse mosse al cittadino italiano sono di cospirazione a fini di uccisione di ufficiali e impiegati di cittadinanza americana e loro collaboratori, durante l’espletamento delle proprie funzioni pubbliche, in violazione del Titolo 18, Sezione 1114 dello United States Code;
i citati intenti illeciti sarebbero stati perseguiti “indirettamente”, e cioè attraverso la fornitura di materiale di supporto o altre risorse, in particolare armi, ad esponenti delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (FARC), con la consapevolezza che tale organizzazione svolge attività terroristica;
a seguito della richiesta statunitense l’on. Romagnoli è detenuto nel carcere di Podgorica in Montenegro dal 16 dicembre 2014;
nell’indictment pubblicato sul sito della Procura di New York, in merito alla vicenda, si legge di una serie di incontri videoregistrati intercorsi tra due cittadini rumeni, Vintila e Georgescu, e alcuni agenti sotto copertura della Drug Enforcement Administration (DEA). Nel corso di tali incontri, questi ultimi avrebbero simulato un interesse all’acquisto di armi, facendo presente che erano destinate all’abbattimento di elicotteri americani;
in tale quadro la Procura di N.Y. contesta all’on. Romagnoli un unico incontro dell’8 ottobre 2104, in Tivat Montenegro, nel corso del quale, stando all’atto di accusa, avrebbe dato la disponibilità alla vendita di armi, benché fosse stato dichiarato dai sedicenti acquirenti che esse erano destinate alle FARC. Egli si sarebbe reso, inoltre, disponibile a fornire falsi certificati di esportazione degli armamenti (END USER) necessari per far risultare legittimo il possesso delle armi;
l’on. Romagnoli nel protestare la propria innocenza, afferma “di non essere mai stato un trafficante di armi con base in Grecia” come riferito nell’atto di accusa, e soprattutto di non aver mai, neanche per un momento, avuto il sospetto che le armi fossero destinate ad azioni terroristiche, e men che meno ad azioni contro il governo americano;
il cittadino italiano ribadisce inoltre che era sicuro che l’operazione commerciale, propostagli dal Georgescu, si dovesse svolgere in piena trasparenza e nel rispetto delle legge;
su tutta la vicenda nella quale sembrerebbero intersecarsi profili di gravità e profili di paradossale ingenuità, è opportuno che si faccia la massima chiarezza, proprio per la rilevanza delle accuse, ma nel massimo rispetto di quelle garanzie, che nel nostro paese rivestono rilievi costituzionali;
in particolare dall’atto di accusa della Procura di Manhattan emergono estremi per affermare la giurisdizione italiana in base alla c.d. Convenzione di Palermo sottoscritta dall’Italia e ai sensi della legge n. 146 del 2006: i tre ‘associati’, Vintilla, Georgescu e Romagnoli hanno nazionalità distinte e hanno “sedi operative” diverse. I primi due sono qualificati rispettivamente quali “weapons trafficker” e “weapons broker” con “sede” in Romania, mentre il Romagnoli sarebbe un “trafficante di armi” con “sede” in Grecia, ma avente la sua base operativa in Italia;
è inoltre opportuno ricordare che le condotte oggetto di contestazione sarebbero state indotte da agenti provocatori della polizia statunitense e che la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa in proposito affermando nel caso Furcht c. Germania deciso con sentenza del 23 ottobre 2014 che l’interesse pubblico alla lotta al crimine non può giustificare l’uso in sede processuale di prove ottenute all’esito di istigazioni compiute da agenti di polizia, poiché questo esporrebbe l’imputato al rischio di una irreparabile lesione del diritto a un equo processo;
che, la concessione dell’estradizione del Romagnoli verso gli USA, per reati che secondo la legislazione statunitense sarebbero puniti con una pena assolutamente sproporzionata alla gravità ed offensività del fatto (da 17 anni all’ergastolo) si pone in palese contrasto con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come statuito della Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. V, con sentenza del 4 settembre 2014, Trabelsi c. Belgio, ric. n. 140/2010;
infine dalla lettura dell’atto di accusa della Procura statunitense sembrerebbe emergere che, non solo non vi è stata nessuna cessione di armi, ma neanche un accordo finalizzato a una vendita. Inoltre al momento degli incontri incriminati, la merce non solo non era stata acquistata dai fornitori, ma neanche individuata per qualità e quantità e non vi era alcuna traccia di danaro;
ulteriore perplessità desta la notizia relativa alla circostanza per cui l’on. Romagnoli sarebbe stato sottoposto ad interrogatorio da parte degli agenti della DEA, per la durata di tre ore in assenza del difensore, benché egli avesse ripetutamente richiesto di poter essere messo in contatto con un avvocato e con l’Ambasciata italiana in loco, in apparente violazione di diritti comunitariamente riconosciuti.
Tanto premesso si chiede di sapere:
se il giorno dell’arresto in Montenegro (via Belgrado) fosse stato già inoltrato l’ordine di arresto internazionale via Interpol alle autorità di polizia italiane e, in tal caso, come mai il Romagnoli non sia stato fermato dalla Polizia italiana all’aeroporto di Fiumicino dal quale è partito e sia stato fatto ‘filtrare’ fino al Montenegro;
se sussistano i presupposti della Convenzione di Palermo e, in particolare, della Legge di attuazione n. 146 in materia di criminalità transnazionale, che ai sensi dell’art. 7, comma 1 n. 5 del Codice penale impone di affermare la giurisdizione italiana su i reati contestati all’on. Romagnoli e quali iniziative in tal senso il Ministero degli interni intenda adottare in applicazione di detta disciplina;
se le Autorità giurisdizionali italiane abbiano adottato o intendano adottare iniziative attraverso i Ministeri Competenti, per avanzare una richiesta di estradizione del Romagnoli nei confronti del Montenegro;
se non si reputi opportuno adottare iniziative diplomatiche per richiedere al Montenegro la piena osservanza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in relazione alla richiesta di estradizione avanzata dagli USA nei confronti del cittadino italiano Massimo Romagnoli;
se sia rispondente al vero la notizia relativa al lungo interrogatorio subito dall’on. Romagnoli in assenza del difensore, nonostante le ripetute richieste di poter essere messo in contatto con un avvocato e con l’Ambasciata italiana in loco, e quali iniziative di intendano adottare al riguardo.
Aldo Di Biagio
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