La disparità di trattamento fiscale dello Stato sugli immobili degli italiani nel mondo genera una sorta di conflitto generazionale tra gli stessi connazionali che vivono all’ estero. Tra i pensionati e i loro figli (per godere delle agevolazioni rinviano appositamente il lascito dell’immobile ai figli), da una parte e, dall’altra, tra i pensionati e gli altri emigrati, anche tra quelli emigrati di recente.
Qualora dovesse sussistere ancora l’attuale normativa, tutti gli esclusi, e tra questi gli emigrati con già vent’anni, trent’anni di emigrazione alle spalle, dovranno attendere fino all’età pensionabile, 20, 30 o più anni, per godere dello stesso trattamento, continuando a versare gli oneri fiscali e tariffari come seconda casa.
Ne consegue quindi che la soluzione adottata dal nostro governo a favore dei pensionati, nonostante gli effetti economici vantaggiosi per gli uni, scontenta gli altri, finendo sostanzialmente per scontentare un po’ tutti. Se non altro per l’inesistenza di un principio di equità di base, se non si vuole prendere a pretesto il solo aspetto anagrafico.
Concessa sotto forma di contentino, finisce per essere astutamente un’ abile operazione di cassa. Con il maggior aggravio fiscale per gli uni, si riesce a compensare i benefici degli altri. Ma non soddisfa quella che e’ alla base della rivendicazione generale: una soluzione a favore di tutti, equa e non discriminatoria, che riconosca a tutti gli iscritti AIRE l’equiparazione del loro immobile in Italia come prima casa.
Lo stesso riconoscimento dovrebbe essere esteso anche agli italiani in Italia che sono costretti a lasciare la loro abitazione per recarsi in un’altra città italiana per ragioni di lavoro, pur in possesso di un solo immobile sul territorio nazionale.
Le ragioni sembrano ancor piu’ incomprensibili se si considera il vero fattore che accomuna sia i benificiari che gli esclusi: tutti emigrati, tutti legati dallo stesso destino; emigrati per necessita’ alla ricerca di un lavoro all’estero, o all’interno del territorio nazionale, che potesse migliorare le loro condizioni di vita. Tutti portatori di un valore aggiunto ai loro territori di provenienza per gli investimenti fatti e per i vari vantaggi che ne conseguono per effetto della loro regolare frequenza dovuta anche e soprattutto al possesso patrimoniale.
Lungi quindi dall’essere una soluzione condivisa, condivisibile e definitiva, essa risulta iniqua e non puo’ essere a lungo sostenibile.
Rappresenta certamente una conquista dal punto di vista politico, sarebbe autolesionistico non riconoscerlo. Va considerata tuttavia come una soluzione temporanea e non puo’ diventare un limite o una limitazione di un’azione di difesa degli interessi di tutti.
Spetta pertanto al governo italiano e ai rappresentanti degli italiani all’estero dare una risposta definitiva, che ripristini un trattamento paritario.
La questione è molto piu’ sentita di quello che possa sembrare anche tra i pensionati, non solo tra gli esclusi, per un senso di solidarieta’ nei confronti dei loro figli e di tutti gli altri, consapevoli dell’eccessivo e ingiusto peso fiscale e tariffario incombente sul mantenimento dell’immobile in Italia, che potrebbe indurre gli uni e gli altri a sbarazzarsene.
In molti emigrati che hanno investito in Italia i loro risparmi subentra anche il rammarico di non aver investito diversamente a favore dei loro figli, che hanno contribuito al mantenimento del bene con il loro lavoro e con le privazioni a cui sono stati assoggettati. Molti si rendono conto, ora, che sarebbe stato meglio investire nei Paesi di accoglienza anzichè in Italia dove sono sottoposti a vessazioni e speculazioni da parte dello Stato.
Pertanto alla luce di quanto sopra anche i pensionati italiani all’estero ritengono che il governo italiano abbia il dovere di estendere l’equiparazione a prima casa a favore di tutti i proprietari di un solo immobile in Italia, senza distinzione di sorta.
Accogliendo questa richiesta, gli eletti all’estero potrebbero dar seguito concretamente all’augurio di Buone Feste e all’augurio di un buon lavoro comune auspicato per il prossimo anno, trasformando la stessa in un apposito provvedimento da sottoporre all’attenzione ed approvazione del governo. Staremo a vedere.
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