La tromba d’aria abbattutasi sulla città di Taranto è stata come una sorta di punizione divina, scesa a spazzare via il dolore degli operai lacerati dall’angoscia e dalla paura di non poter più provvedere alle proprie famiglie, sul cancro che quella terribile fabbrica ha prodotto, su coloro i quali sono stati arrestati e su chi tra loro è ancora latitante, sugli stabilimenti sequestrati, sulle polemiche, sulla rabbia, sull’acciaio, sull’occupazione degli stabilimenti e nessuno, nessun magistrato può o potrà fermare la forza della natura, che si è abbattuta schiantando ogni cosa.
Chi non ha visto nel web o alla televisione quella terribile tromba d’aria, nera, plumbea, enorme, minacciosa? L’abbiamo vista avanzare, terribilmente simile all’inferno di Dante, così com’è stato sempre raffigurato.
E’ giunta inesorabile, potente, travolgendo cose e persone, come un monito su chi ha avvelenato una terra bellissima, ha seminato un veleno che forse resterà sempre a scorrere in un vortice anomalo e artificiale nel DNA di Taranto e dei suoi figli.
E’ stata una donna, un magistrato donna a far chiudere quella maledetta fabbrica, con grande coraggio, sprezzante del pericolo, mettendosi da sola contro giganti che farebbero indietreggiare chiunque, ma ora chi porrà rimedio a tutto questo sconvolgimento? Chi curerà le ferite e che ne sarà della vita e dell’avvenire degli operai e dei loro figli?
Non ci sono sentimenti di pietà nei confronti di chi ha permesso tutto questo, verso chi ha sottovalutato la media di tumori sviluppatesi nella zona, enormemente più elevata da altre zone del nostro paese.
Abbiamo visto una gru roteare, le fiamme, e la devastazione dentro e fuori l’impianto, gli operai fuggire e alcuni tra loro sono dispersi, come se non avessero pagato abbastanza. Un fulmine è caduto su una delle ciminiere dell’Ilva, i cui pezzi si sono riversati su due tralicci dell’alta tensione. E’ stata bloccata anche la linea ferroviaria Bari-Taranto. I feriti provocati dalla tromba d’aria sarebbero una ventina. In prossimità di un camino dell’Ilva abbiamo visto levarsi fiamme che hanno divorato il cuore della città, forse prodotte dal fulmine. Molte lamiere sollevate da impianti Ilva bloccano le strade adiacenti.
Come può essere considerato ancora una risorsa per il Paese quell’acciaio, se è stato così grande il tributo di morte pagato?
La verità è che il Paese è a pezzi, inquinato fino al limite della sopportazione, abbandonato e non curato su quelle montagne che franano un po’ alla volta, e trascinano via con una forza inaudita ogni cosa. Ogni fenomeno naturale violento ci sovrasta, ci travolge, ci annienta e ci schianta. Non riusciamo ad arginare grandi nevicate, alluvioni o terremoti, perché questa natura un po’ alla volta si ribella e a quanto pare è lei a essere più forte.
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