"Ci siamo illusi che un’interpretazione del Pd, che pure c’era fin dalla nascita, quella di Reichlin e di Scoppola, potesse essere dominante. Abbiamo sbagliato. E’ stata la segreteria Bersani ad essere un’anomalia, tant’è che non è riuscita a raggiungere gli obiettivi che si era prefissa perché la cultura politica prevalente nel Pd aveva un segno diverso". Così Stefano Fassina in una intervista al Manifesto dopo le sue dimissioni del Pd. E aggiunge in una intervista a Repubblica: "Con Bersani e con altri c’è la condivisione dell’analisi sullo strappo che si è prodotto con una parte significativa del nostro mondo attraverso le scelte del governo. Ma no, non resta solo perché è l’ex segretario. Ci ho parlato, lui crede ci sia lo spazio per una funzione nel Pd. Sa però che per me è importante fare fino in fondo quello che sento".
Alla domanda se – Con Civati e Pastorino – darà vita a un nuovo gruppo parlamentare, l’ex viceministro risponde nella sua intervista al Manifesto: "Dobbiamo fare una cosa seria. Partire dai territori, dare protagonismo a chi sta nei tenitori. Innanzitutto, dobbiamo condividere un’analisi, altrimenti si alimenta l’illusione che basta una scissione dal Pd e la riaggregazione di ceto politico spiaggiato per ‘fare l’alternativa’. Oppure, risucchiati dall’anti-politica, si rischia di dare credito alla favola dell’autosufficienza politica della ‘coalizione sociale’. La ricomposizione dei gruppi parlamentari, grazie anche alla generosa disponibilità di Sel, se sarà, dovrà essere un punto di arrivo".
Spiega inoltre che non c’è ancora una road map per questa nuova cosa di sinistra: "No, e se ci fosse vorrebbe dire che non facciamo sul serio il lavoro di radicamento territoriale, di raccolta di domande, competenze e passioni. C’è un enorme lavoro da fare. Mi sento molto in sintonia con Sergio Cofferati quando indica come prioritario il terreno della cultura politica".
"Anche altri oggi pensano che il Pd si è riposizionato, che ha dei limiti di fondo, che Renzi non è un intruso o un usurpatore ma la sua migliore guida. Renzi non ha dirottato un autobus che andava nella direzione giusta: è l’interprete più abile della subalternità culturale e politica della sinistra italiana, sia di matrice comunista sia cattolica, negli ultimi tre decenni. Una subalternità sublimata nella carta d’identità del Pd: un non-partito, regolato dalla democrazia plebiscitaria dello statuto e segnato nei cromosomi dall’europeismo liberista del lingotto. Renzi non è una parentesi alla quale opporre resistenza interna per riconquistare il Pd delle origini. Renzi è l’essenza del Pd. Ma chi ci conosce lo sa: veniamo da una storia che rende le separazioni molto dolorose anche sul piano personale. Ho rispetto per chi non se la sentirà di uscire".
In una intervista a Repubblica afferma che la colpa di Renzi è quella di "esserne l’interprete estremo". E smentisce che nel suo addio c’entri il duello personale con Renzi: "Non è una questione di battute, è questione di scelte fatte e che hanno pesato. La riforma del lavoro ha tolto qualche residua tutela a milioni di lavoratori senza dare nulla ai precari. L’intervento sulla scuola incide sulla libertà di insegnamento e sulle condizioni lavorative di migliaia di persone".
"Dobbiamo affrontare due sfide enormi: da un lato viviamo dolorosamente la crisi della famiglia socialista europea, dalla Grecia all’immigrazione gli esempi non potrebbero esser più eclatanti. Dall’altra dobbiamo misurarci con quelle sfide che anche nell’ultima encliclica Papa Francesco ripropone. E che hanno al cuore lo schiacciamento della persona nel capitalismo finanziario nel quale siamo immersi".
Fassina ribadisce di considerare come suoi punti di riferimento mondiali Syriza, Podemos e anche Papa Francesco che "solleva una critica al capitalismo estranea da decenni alla sinistra. E che lascia quasi senza parole", "l’esortazione Evangelii Gaudium e l’enciclica Laudato Sì contengono una critica radicale al capitalismo che la sinistra non è m grado di esprimere da almeno tre decenni. Consideriamo il riformismo un adattamento passivo alla situazione data, senza nessuna ambizione di correzione di rotta che rimetta la persona al centro. E’ la politica della Merkel e prima di lei di Schroeder, tanto celebrato a sinistra".
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