Mi viene in mente un vecchio detto, valido se diamo un valore positivo ad un premio Nobel per la pace, in questo caso proprio vero. “Non è l’uomo che fa la poltrona, ma è la poltrona che fa l’uomo”. Vero, per ciò che riguarda la sicurezza e la credibilità degli Stati Uniti nel mondo.
Ricordiamo lo slogan che ha portato per la prima volta, Barack Obama alla Casa Bianca: Change, yes, we can. Qualche cambiamento di fatto c’è stato: l’obbligo dell’assicurazione sanitaria per tanti cittadini che non ce l’avevano, tassazione dei redditi più alti, una legge a favore degli omosessuali nell’esercito. L’elenco di queste leggi nelle lettere di OFA, Obama For America, che circolano sul web è lungo, tutte chiedono l’impegno della base dei democratici per favorirne l’applicazione e portarne avanti di nuove. The best is ahead of us, il meglio deve ancora venire, ripeteva il Presidente durante la seconda campagna elettorale. Però c’è un limite evidente al cambiamento.
Conclusa la guerra in Iraq, in via di conclusione anche quella in Afghanistan, era finalmente venuta l’ora che l’America, guidata dal Presidente Barack Obama, premio Nobel per la Pace, incominciasse di nuovo a marciare sulla via della pacifica prosperità, diminuendo la spesa federale per le guerre ed aumentando quella per la ricerca e l’istruzione. Invece il Presidente annuncia a chiare lettere la necessità immediata di una limitata azione militare in Siria, rea di aver usato gas contro le popolazioni civili e pertanto di aver messo in serio pericolo la credibilità degli USA nel mondo e la sicurezza del popolo americano. Dunque si annuncia un’azione militare, una guerra in Siria per garantire la pace sul territorio nordamericano. Ma siamo davvero sicuri, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la sicurezza del territorio americano, la necessità di far dormire sonni tranquilli agli elettori della più ricca democrazia del mondo, renda necessario andare a bombardare i punti strategici ed anche, forse, la popolazione civile ed inerme di un angolo di mondo tanto lontano dal territorio nordamericano?
Crediamo veramente che l’intervento militare americano potrà essere solo una limitata azione dimostrativa studiata al tavolino dai geni della strategia militare, da concludere in pochi giorni? Ma veramente i siriani potrebbero accettare la punizione senza reagire con tutti i mezzi a loro disposizione, armi chimiche comprese?
Non possiamo dimenticare le centinaia di bambini addormentati per sempre, stesi in terra, alcuni pietosamente avvolti in lenzuola bianche, altri scoperti, come sono caduti in terra, niente segni di sofferenza o di ferite, semplicemente addormentati. Ma se è vero che quelle immagini orripilanti suscitano l’idea di seri pericoli per la sicurezza degli USA, come affermato dal Presidente, ed anche nostri cittadini europei, è altrettanto vero che quelle stesse suscitano l’orrore per ciò che le ha provocate: l’odio e la guerra tra i popoli, quella sporca, brutta e violenta, quella che semina morte e distruzione. Dovunque.
Papa Francesco, il sudamericano di origine italiana arrivato a Roma, additando al mondo i rischi dell’intervento americano in Siria, ha messo in gioco la sua autorità morale, autorità molto sentita nel mondo cattolico, ma assai meno, o per niente, nel mondo cristiano-protestante nordeuropeo e nordamericano. Anche molti americani protestano contro l’intervento in Siria, e sono tanti, se guardiamo le immagini dei media. Questi evidentemente si sentono sicuri, nonostante in Siria siano stati usati i gas come armi di sterminio di massa.
Il Presidente Obama, democratico, pur sottolineando il suo potere di intervento militare senza il parere del Congresso, ha coinvolto i rappresentanti del popolo americano per prendere questa decisione dalle conseguenze imprevedibili. Che farà dunque il Congresso americano, a maggioranza repubblicana? Intanto il volto del presidente non mostra più quel sorriso aperto, ottimista e coinvolgente, esibito alle folle durante le campagne elettorali. Il suo volto pensoso e serio è la sofferta immagine di uno scontro drammatico fra convinzioni democratiche e pacifiste e la “ragion di stato”, quella che deve prescindere dal personale ed agire per il benessere e la sicurezza di tutti i cittadini. Credendo che un’alternativa alla guerra c’è sempre, non ci resta che sperare nell’efficacia dell’azione della diplomazia per evitare altre morti e stragi, oppure, a seconda dei gusti, nella giornata di preghiera indetta da Papa Francesco.
































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