Mario Monti ha capito che stavolta non potra’ difendere l’ennesima manovra economica senza cedere nulla. Le primarie del centrosinistra e l’avvio di fatto della campagna elettorale non glielo consentono. Percio’ si e’ detto disponibile ad accettare modifiche alla legge di stabilita’, sia pure nel rispetto dei saldi previsti.
E’ la prima volta che il premier riconosce alcuni errori compiuti dall’esecutivo: deve aver pesato soprattutto la critica di Pierluigi Bersani il quale fa rivelare come in Europa la crisi economica sia sempre piu’ veloce delle risposte dei governi. A pagarne il conto sono le classi piu’ deboli. Al Pd va stretto il rapporto ‘pedagogico’ impostato dal Professore con i partiti: Bersani preannuncia che su Iva ed Irpef presentera’ proposte diverse in difesa dei ceti medi e popolari. Piu’ in generale nel centrosinistra serpeggia il malumore per come Vittorio Grilli sta gestendo la politica economica. Ma proprio per questo motivo appare sorprendente il terreno di scontro scelto da Bersani per colpire Matteo Renzi: il leader democratico rimprovera il suo avversario per la cena con esponenti di una grande finanza giudicata poco trasparente.
‘Chi ha basi alle Cayman non dovrebbe dare consigli’, dice Bersani. Ma il sindaco di Firenze nega di averli accettati, piuttosto ha cercato di capire un mondo che – come osserva Massimo Cacciari – e’ normale avvicinare per chi ambisce alla premiership. Renzi sfida Bersani ad un confronto pubblico sul tema, con il chiaro intento di far venire a galla gli antichi pregiudizi della vecchia classe dirigente nei confronti di imprenditori e finanzieri: la grande finanza, spiega il ‘rottamatore’, e’ centrale per chi vuole governare, l’importante e’ che sia la politica a guidarla e non viceversa.
L’impressione e’ che Bersani stia cercando di bilanciare il successo politico ottenuto da Renzi con il doppio ritiro di Veltroni e D’Alema. I sondaggi per ora gli sono favorevoli: e’ al 38 per cento contro il 23 di Renzi e il 19 di Vendola. Pero’ il segretario non sembra in grado di evitare il ballottaggio. E il secondo turno non e’ un passaggio neutro: l’indispensabile ricerca di unita’ nella prospettiva delle politiche rischia di rafforzare comunque il peso dei ‘rottamatori’ in vista del rinnovamento interno.
Del resto si e’ visto quale sia stato l’effetto Renzi anche sul centrodestra. Nel Pdl si e’ messo in moto un profondo processo di cambiamento. In fondo l’invito di Daniela Santanche’ ad azzerare tutto si muove nello stesso solco e mette in difficolta’ soprattutto le ‘vecchie glorie’, coloro che hanno alle spalle tre legislature. I decani non hanno intenzione di compiere passi indietro ma alle valanghe non si resiste.
Il fatto che Silvio Berlusconi si sia defilato e’ un sintomo del malessere. Il Cavaliere fa sapere che del partito si occupa ormai il solo Alfano e invita all’unita’. Ma in molti temono che le parole della Santanche’ non gli siano cosi’ sgradite come pretendono certi esegeti: secondo alcuni l’ex premier sarebbe davvero tentato di rottamare la sua creatura in puro stile renziano e di dare vita ad una lista autonoma. A cui la Santanche’ aderirebbe subito. E presumibilmente non sarebbe la sola. Tutto cio’ a testimonianza di un ricambio che stenta a prendere quota e soprattutto dell’assenza di un piano politico.
L’unico che sembra averne uno e’ Roberto Formigoni: detta i tempi dello scioglimento della giunta lombarda e lavora ad una coalizione dei moderati con Gabriele Albertini. Un progetto ben diverso da quello di Alfano che non vuole perdere i collegamenti con la Lega.
Formigoni guarda oltre: vuole il voto in Lombardia prima delle politiche per cercare una vittoria che potrebbe lanciarlo dopo poche settimane verso Roma. Mentre il segretario del Pdl appare piu’ conservativo dopo il fiasco del dialogo con Casini: il leader dell’Udc infatti ha ammesso che l’alleanza con il Pd in Sicilia e’ un modello che potrebbe essere esportato se coronato da successo. La vera incognita di tutte queste manovre e’ un’altra: secondo i sondaggi Beppe Grillo sarebbe ormai al 21 per cento. Il 25 per cento del Pd non e’ poi cosi’ distante…
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