Non un semplice trait d’union, ma un vero e proprio ”mediatore contrattuale” del patto di protezione tra Berlusconi da una parte e Cosa nostra dall’altra. Per la corte d’appello di Palermo, che ha condannato Marcello Dell’Utri a sette anni per concorso in associazione mafiosa, il filo rosso che lega l’imprenditore milanese e la mafia non e’ per nulla sottile: si tratta dell’ex senatore del Pdl, per anni braccio destro di Berlusconi e tra i fondatori di Forza Italia.
Nelle 477 pagine che raccolgono, per la quarta volta (il processo e’ tornato in appello dopo il rinvio della Cassazione per il periodo tra il 1974 e il 1992), quello che lo stesso Dell’Utri chiama ironicamente il suo ”romanzo criminale”, la corte ribadisce i ”comportamenti tutt’altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale dell’imputato, che ha ritenuto di agire in sinergia con l’associazione criminale”. ”In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) – prosegue la corte – ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti-Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese e gli interessi del sodalizio mafioso, con cio’ consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”.
I giudici Raimondo Lo Forti, Daniela Troja e Mario Conte, in ottemperanza alle indicazioni della Cassazione, motivano la sentenza cercando di colmare quel ”vuoto argomentativo” segnalato dagli ermellini sulla sussistenza dei legami Dell’Utri-mafia nel 1978-1982 e spiegando la ”questione del dolo” alla luce degli elementi di ”torsione e avvitamento” che si erano registrati tra le parti tra il 1983 il 1992. La genesi del patto che ha legato Berlusconi alla mafia con la mediazione di Dell’Utri, durato secondo i giudici almeno 28 anni, e’ l’incontro avvenuto a maggio 1974, a Milano, cui erano presenti anche gli esponenti mafiosi Gaetano Cina’, Stefano Bontade, Mimmo Teresi. ”In virtu’ di tale accordo – scrive la corte – i contraenti e il mediatore contrattuale hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale all’imprenditore tramite l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Dell’Utri, che ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere”. Cosi’ Berlusconi e’ ”rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore”. Del resto, l’ex premier ”ha sempre accordato – aggiunge il collegio – una personale preferenza al pagamento di somme come metodo di risoluzione preventiva dei problemi posti dalla criminalita”’. Somme arrivate puntualmente a Cosa nostra con pagamenti semestrali anche tra il 1978 e il 1982, quando Dell’Utri ando’ a lavorare dall’imprenditore immobiliare Filippo Rapisarda.
Nemmeno la morte di Stefano Bontade e Mimmo Teresi, e quindi nel periodo tra il 1983 e il 1992, e il mutamento dei vertici di Cosa nostra ”aveva modificato – proseguono i giudici – in alcun modo l’impegno finanziario del gruppo Berlusconi nei confronti dell’organizzazione criminale”. I milioni (prima 50 e poi 100 ogni sei mesi, secondo i pentiti) arrivavano nelle mani di Toto’ Riina attraverso Cina’. Per la corte, i pagamenti sarebbero proseguiti ”quantomeno fino al 1992”. E qui si fermano i giudici. Da quel momento in poi, infatti, Dell’Utri e’ stato assolto dall’accusa di mafia in via definitiva.
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