Nessuno che sia in buona fede ha mai creduto che la guerra in Ucraina sia una lotta tra sistemi democratici e autocratici. Piuttosto è quella che si dice “guerra per procura” tra la NATO (e in primis USA e Gran Bretagna) e la Russia, conflitto cui la Commissione e i governi europei si sono servilmente e masochisticamente accodati.
Chi ancora sostiene che la guerra in Ucraina sia tra chi vuole un Paese democratico e chi vorrebbe sottometterlo al giogo di Mosca, o è totalmente ignorante della realtà o è in malafede.
Tra i giornalisti abbondano i primi, i secondi sono la maggioranza tra i vertici politici. Se i giornalisti e i politici che continuano a dipingerci una Ucraina unita e nazionalista contro lo straniero soltanto invasore volessero davvero capire la realtà della situazione, dovrebbero procurarsi il libro di Michail Bulgakov “La guardia bianca”.
Leggendo quel romanzo, scritto in tempi non sospetti, si comincia a pensare che Putin non abbia tutti i torti quando sostiene che l’Ucraina non sia mai esistita come Paese.
In effetti la parte nord-ovest del territorio fu per un lungo periodo occupata dal regno polacco-lituano, l’ovest e parte del sud appartennero per gran parte del XVIII secolo all’impero Austro-ungarico, l’est e il resto fino al Mar Nero furono parte dell’impero zarista.
Il libro di Bulgakov (nacque a Kiev nel 1891 e lo scrisse nei primi anni Venti) descrive la situazione a Kiev e nelle campagne durante il crollo dell’impero zarista e lo scoppio della rivoluzione bolscevica. Attraverso le vicende di una famiglia borghese, già politicamente divisa al proprio interno, è messa in evidenza la confusa lotta di potere che si svolse principalmente tra il dicembre 1918 e il febbraio 1919.
In quel periodo, mentre a Mosca e San Pietroburgo si andava consolidando il potere bolscevico, c’erano ben quattro bande armate che si combattevano l’un l’altra senza pietà in una ferocissima guerra civile. Il caos politico e militare di quei mesi riproduceva la divisione interna tra le differenti popolazioni.
I diversi protagonisti erano: comunisti che volevano imporre la propria legge ovunque, le cosiddette “guardie bianche” difensori del passato ordine e nostalgici della monarchia destituita, i nazionalisti seguaci dell’Etmano cosacco e altri nazionalisti con a capo tale Petlijura che combatteva i precedenti e tutti gli altri, le truppe austro-tedesche e, per finire, i gruppi anarchici (nella regione di Zaporizhje). Un quadro ben complesso, dunque, che è ben diverso da quello che ci viene mostrato dalla propaganda che vuole imporre l’idea di un Paese e di un sentimento nazionale tutto unito nella guerra contro i russi.
Quando scoppiò la Seconda guerra mondiale le divisioni nel popolo si ripresentarono e alcuni ultranazionalisti come Stepan Bandera non esitarono a schierarsi con i tedeschi. La loro ideologia non era poi così diversa da quella dei nazisti, tanto è vero che lo stesso Bandera fu un loro attivissimo complice nell’identificare e denunciare gli ebrei che lì vivevano oramai da secoli.
La storia ci dice che la sua organizzazione, l’OUN-B, fu parte attivissima nel pogrom di Leopoli che portò all’uccisione di circa 6mila ebrei. Dopo la guerra, l’OUN-B cercò di minimizzare o occultare il proprio coinvolgimento nelle violenze antiebraiche, contribuendo a una memoria storica falsificata.
Ciò che è ultra documentato è che i nazionalisti dell’epoca affiggevano nelle città manifesti con le scritte: “Gloria all’Ucraina, Heil Hitler”.
Forse per nostalgia, anche oggi esistono gruppi nazionalisti con simpatie naziste e il battaglione Azov, quello che fu il principale responsabile dell’eccidio di Odessa nel 2014, ne è il maggiore esempio.
Attualmente è inglobato nell’esercito ufficiale, ma mantiene i suoi simboli. Di estrema destra come loro c’è il gruppo dei volontari russi (RVC) che combattono contro la loro stessa madrepatria.
Chi conosce il Paese da vicino sa che neppure dopo la caduta del sistema sovietico si è mai avuto un momento veramente democratico. Alcuni oligarchi locali, quasi sempre arricchitisi con metodi delinquenziali, controllano l’Ucraina sin dall’anno dell’indipendenza scegliendo parlamentari e presidenti e continuando ad arricchirsi alle spese di donne e uomini obbligati, per sopravvivere, a emigrare alla ricerca di lavori inferiori alle loro competenze.
Il colmo dell’ignoranza della realtà, o di partecipe connivenza, lo ha raggiunto il Consiglio d’Europa il 2 ottobre scorso, quando ha votato la creazione di una commissione per legittimare presso il Consiglio stesso l’organizzazione dei volontari russi che combattono a fianco dell’esercito ucraino (RVC).
Il motivo addotto per l’abbinamento sarebbe la volontà di riconoscere l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma innanzitutto la condivisione dei valori del Consiglio d’Europa. In particolare si afferma che costoro lotterebbero per “la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto”.
Peccato che sia quei russi sia i neo-nazisti ucraini si ispirino apertamente al passato nazista, e infatti espongono sulle loro divise teschi e rune e celebrano come loro eroi esponenti che si distinsero nella seconda guerra mondiale come fiancheggiatori dei tedeschi. Il loro fondatore e comandante, tale Denis Nikitin, è catalogato dal Ministero degli Interni della Renania-Westfalia quale “uno degli attivisti neo-nazisti più influenti”, e nel 2019 gli fu proibito l’ingresso nell’Unione Europea per dieci anni.
Non c’è tuttavia da stupirsi che i parlamentari del Consiglio d’Europa siano così poco informati. Nella loro foga di appoggiare qualunque cosa spiri dalla “democratica” Ucraina, non vedono quanto quel Paese sia lontanissimo da ogni minima parvenza dei valori che il Consiglio ufficialmente difende: partecipazione democratica, libertà di espressione, tutela delle minoranze, rispetto per i più elementari diritti umani.
Non sanno, o hanno dimenticato, che la nuova Costituzione di quel Paese ha creato cittadini di serie A e di serie B (come succede anche nei paesi Baltici e in Israele) ove i primi sono gli “ucraini” e i secondi sono ungheresi, russi, romeni e altri che lì sono nati e le cui famiglie ci vivono da secoli. Non sanno, o non vogliono sapere, che tutte le opere di scrittori, musicisti e vari artisti russi sono banditi dalle biblioteche (circa 19mila volumi sono stati riciclati come carta straccia) e i loro nomi devono essere cancellati dalle vie.
Tra costoro, Pushkin, Turgenev, Lermontov, Glinka, Lomonosov ecc. (solo a Kiev ben 25 tonnellate di libri in lingua russa sono stati mandati al macero nonostante in Ucraina, compreso il Donbass, la popolazione etnicamente russa è (era?) di circa 15/16 milioni. Dal 2023 è pure vietata l’importazione di libri di qualunque genere dalla Russia e dalla Bielorussia. Anche il museo dedicato a Bulgakov nella sua casa natale a Kiev è oggetto di petizioni che ne chiedono l’eliminazione.
Non a caso, dal 2018 il primo di gennaio di ogni anno è festa nazionale dedicata all’”eroe” Stepan Bandera. Eppure, nel 2010 il Parlamento Europeo aveva “profondamente deplorato” che gli venisse attribuito il titolo di Eroe d’Ucraina proprio per il suo fiancheggiamento alle truppe naziste.
Come se tutto ciò non bastasse per dubitare sull’adeguatezza democratica dell’Ucraina, è utile sapere che quanto a libertà di stampa il Paese è considerato da Reporters Without Borders al 61mo posto mondiale e in costante peggioramento.
Piccoli media indipendenti esistono ancora ma subiscono forti pressioni, comprese campagne di diffamazione e controlli di polizia. Chi sa ma non è del tutto convinto dirà: esiste, tuttavia, un Parlamento democratico.
Peccato che anche lì ci siano alcuni problemi. Il 3 maggio 2022 la Verkhovna Rada ha votato per vietare le attività di diversi partiti filo-russi, tra cui l’OPZZh. Da allora circa dieci deputati di questo partito, regolarmente eletti, sono in esilio e non ricevono più lo stipendio parlamentare essendo stati formalmente espulsi dalla Rada.
Altri oppositori del governo di Zelensky sono stati addirittura incarcerati con l’accusa di alto tradimento. Dalle elezioni del 2014, al Partito delle Regioni particolarmente forte nelle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina era stata proibita la candidatura e oggi non ha quindi alcun rappresentante.
Alcuni di loro avevano aderito all’OPZZh ma, come si è visto, non hanno poi potuto mantenere la loro posizione anche se eletti. Esiste tuttavia almeno in modo formale, un partito di opposizione guidato da Yulia Timoshenko (8% dei seggi) ma la storia parlamentare dimostra che si tratta di un’opposizione di facciata poiché sulle scelte più significative i suoi deputati hanno votato sempre come la maggioranza e le contestazioni toccano solo alcune scelte economiche.
Tra l’altro, il 22 luglio 2025 sono stati d’accordo nel votare assieme alla maggioranza il provvedimento che metteva sotto supervisione governativa le agenzie anticorruzione (National Anti Corruption Bureau of Ukraine (NABU) e Specialised Anti Corruption Prosecutor’s Office (SAPO). Solo enormi proteste di piazza hanno obbligato la RADA a recedere (parzialmente) da quella decisione.
Di là da possibili speculazioni, il Varieties of Democracy Institute, basato all’Università di Gothenburg in Svezia, attribuisce al livello di democrazia in Ucraina un valore di 0.389 quando 1 corrisponde a una completa liberal-democrazia, elezioni libere, libertà civili e giusto equilibrio tra le Istituzioni, mentre 0 significa totale dittatura (giusto come esempio, l’Italia è stimata 0,70)..
Come mai, allora, nonostante tutte queste evidenze i deputati del Consiglio d’Europa si prostrano di fronte ai rappresentanti ucraini frequentemente invitati a Strasburgo? Perché anche il Parlamento europeo fa le stesse cose? Beh, i vari Parlamentari non sono obbligati ad essere informati su tutto ciò che votano e, in fin dei conti, conta seguire l’onda e non scontentare i propri Governi filo-Kiev. Il conformismo non crea mai problemi e, magari, facilita la rielezione…
Purtroppo, come sempre succede, quando c’è una guerra la prima vittima è la verità.































