Gli italiani a New York fanno mestieri molto diversi e anche le loro origini e le modalità di arrivo sono differenti. Di questo parla il libro, edito da Laterza, “Gli italiani di New York”, scritto da Maurizio Molinari, giunto nella Grande Mela nel 1989 e che oggi vive, con la moglie Micol ed i figli Chana ed Eli, nell’Upper West Side; corrispondente del quotidiano La Stampa, dopo aver scritto su varie testate come L’Indipendente, L’Opinione, Il Tempo, Il Foglio, Panorama e collaborato con le reti televisive La7, RaiNews24, Sky tg24 e Tg5. Dice in questo libro Molinari che per conoscere davvero la creatività italiana, con quella capacità di sorprendere, con inattese “mosse del cavallo” (come diceva Foa ed oggi sostiene un altro italiano che vive molto in America: Massimo Gramellini), bisogna andare a New York. E’ qui, in questa incredibile metafora di modernismo ed accoglienza, che si può ritrovare tutto l’orgoglio tricolore nella sfilata del Columbus Day lungo la Quinta Strada, amalgamato con il patriottismo americano di chi è caduto a Ground Zero, il coraggio dei pompieri e dei marines in prima linea nella guerra al terrorismo, la babele di dialetti del mercato di Arthur Avenue, le trasformazioni sociali negli scritti di Gay Talese, i successi del business nelle trasmissioni tv di Maria Bartiromo e Charles Gasparino, la passione per la politica nelle battaglie di Mario Cuomo e Rudy Giuliani, l’immaginazione nelle creazioni di Gaetano Pesce, Renzo Piano e Matteo Pericoli, la provocazione nell’abbigliamento di Lady Gaga.
New York somma e sovrappone le identità passate e presenti perché non tutti gli oltre 2,7 milioni italiani che lì vivono non ne condividono la stessa dimensione storica. I top manager delle banche di Midtown, arrivati negli ultimi venti anni, sono proiettati nel XXI secolo mentre sulla Fresh Pond Road di Ridgewood le panelle vengono confezionate seguendo ricette che in Sicilia si tramandano da generazioni. Nella galleria di arte contemporanea di Larry Gagosian, il tempio dell’arte contemporanea sull’esclusiva Madison Avenue, è una stakanovista torinese quarantenne a reinventare Pablo Picasso, così come nei laboratori della New York University è una donna medico italiano a rappresentare l’avanguardia della lotta al cancro. Ma c’è un elemento che distingue gli italiani della Grande Mela: la convinzione che mettendocela tutta qui ogni risultato è davvero possibile. Per la semplice ragione che "We are hardworking people”, cioè “siamo gente che lavora sodo”.
A spasso per New York, con un corrispondente come amico per scoprire come ce l’abbiamo fatta. Questo il libro di Molinari in cui si parla anche degli “Off the Boat”, i clandestini italiani, che a New York sono centinaia, forse migliaia. Sbarcano negli aeroporti John F. Kennedy e Newark con la stessa determinazione a rimanere che avevano gli immigrati che a inizio Novecento attraversavano l’Atlantico sulle navi a vapore e facevano tappa a Ellis Island. La differenza sta nel fatto che nell’America del post-11 settembre le norme anti-clandestini sono le più dure mai promulgate. E così c’è chi vive senza documenti da tre, cinque, dieci, perfino quindici anni. Senza poter tornare a casa, dovendo vivere protetto da bugie, temendo lo sguardo degli agenti, cercando in continuazione un espediente per risolvere problemi imprevisti, come una malattia improvvisa o il bisogno di guidare un’auto. Una Nazione fatta di immigrati che respinge gli immigrati, ma che poi, anche dopo l’11 settembre, ne accoglie 700.000 di fede mussulmana e proprio attorno alla ferita di “Ground Zero”.
Città strana in una strana nazione New York, come strani sono gli italiani, immigrati da sempre ed oggi xenofobi e nemici degli extracomunitari. Come dice Molinari, discutere l’identità degli italiani all’estero con un pubblico di italiani in Italia non è facile. Perché non è facile parlare di ciò che altri italiani sono riusciti a raggiungere all’estero mentre altri non hanno potuto farlo in Italia. Il vero problema è che c’è ancora molta ignoranza in Italia sugli italiani in America. Il grande fenomeno dell’immigrazione italiana non è stato mai discusso in Italia come meritava. La società italiana non si è mai chiesta perché tutti quegli italiani decisero di lasciare il proprio Paese. E quindi c’è questa ferita profonda, che è sempre lì presente e ogni tanto riappare. E la ragione profonda di questo libro nasce da un’idea: se ami davvero il tuo Paese e la tua gente allora devi anche spingerla ad affrontare questioni difficili. E la conoscenza di questa grande identità e storia italiana fuori dall’Italia è una grande sfida per gli italiani in Italia, per cui si spera che questo libro possa dare un suo contributo a questa conversazione tra gli italiani di entrambe le parti dell’oceano e fra gli italiani e gli altri, in cerca di speranza e di lavoro.
Discussione su questo articolo