Gianfranco Fini va ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia a Roma, duettando 32 anni dopo in dibattito con Francesco Rutelli e il centro-destra si chiede (qualcuno non nascondendo un certo timore) se non sia una premessa per una sua ridiscesa in campo.
Temo non succederà, soprattutto perché (purtroppo) Fini si è bruciato i ponti alle spalle e indietro non si torna.
Piuttosto, Fini potrà puntare a qualche nomina interna (ad esempio la presidenza della Fondazione di Alleanza Nazionale) e continuerà a svolgere il suo ruolo – sommesso ma importante – di ascoltato “suggeritore” alle spalle della Meloni su diverse questioni e di potenziale collegamento indiretto con quella parte della sinistra che riconosce all’ex leader di AN ancora un ruolo come politico di qualità, cervello più che muscoli.
E’ inutile tornare sul latte versato: Fini ha perso la sua grande occasione quando era Presidente della Camera e soprattutto – come lui stesso ha ammesso dal palco di Atreju – sciogliendo AN di cui era il leader indiscusso.
E’ facile criticare adesso quella scelta, ma chi andasse a rileggersi il suo libro “Il ventennio” (edito nel 2013) ricorderebbe perché si giunse a quel passo, come fossero difficili i rapporti personali con Berlusconi e in che clima maturò la decisione di unirsi con Forza Italia, scelta poi dimostratasi infelice, tanto che sfociò pochi anni dopo nella rescissione dei rapporti con il Cavaliere.
C’è poi stata l’ombra dell’ “affare Montecarlo”, vicenda non certo edificante, ma anche gonfiata in modo esasperato dai media del gruppo Berlusconi che vollero massacrare l’immagine dell’ex alleato.
Seguì – ricordiamolo solo a futura memoria – l’avvio di “Futuro e Libertà” che (con un po’ di sfortuna) si dissolse per i pochi decimi percentuali ottenuti alle politiche del 2013.
Certamente quella scelta di rottura della coalizione – oltre che a lacerare l’ex mondo di AN – mise in luce un Fini molto diverso, politicamente e personalmente, da quello che nell’autunno del 1993 arrivò ad un inatteso ballottaggio elettorale con Rutelli per diventare sindaco di Roma.
Finì con una sconfitta (53% a 47) che fu però una vittoria d’immagine per l’allora giovane leader del Movimento Sociale, preludio di quella del marzo 1994 alle elezioni politiche. Ma torniamo all’oggi, cosa potrebbe essere il futuro destino di Fini?
Credo che già prima delle “politiche” del 2022 i rapporti con Giorgia Meloni si siano ristabiliti in modo confidenziale e discreto ma profondo, anche per la fitta rete di amicizie che Fini aveva ed ha ancora all’estero, dove la ex “figliola prodiga” aveva bisogno di un “garante” prima di saper crescere da sola, come ha dimostrato in modo autonomo ed eccellente. Se poi davvero la Meloni puntasse domani al Quirinale, Fini sarebbe un ambasciatore prezioso e privilegiato.
Perché in fondo la Meloni è una vittoria postuma di Fini, una scommessa vinta visto che Giorgia non sarebbe Giorgia se Fini non l’avesse fortemente voluta alla vice-presidenza della Camera e poi ministro. Una scommessa vinta sulla scelta della persona, così come fu quella di Giorgio Almirante nei suoi confronti quando – proprio attraverso Fini – Almirante scrisse il futuro di una Destra italiana che sembrava avviata al declino.
Certo, ascoltando Fini – così come altri leader degli anni ’90 – ormai più che padri “nonni” della politica (da Casini a Veltroni) si capisce subito come allora la Politica (P volutamente maiuscola) fosse davvero un’altra cosa rispetto ai comizietti di adesso.
Vi immaginereste un dibattito Fini-Schlein o Fini-Conte? Credo sarebbe un massacro per la sinistra in termini di contenuti, ma anche e soprattutto di qualità e verve del dibattito.
La caratura della politica italiana (p minuscola) è infatti oggi molto più modesta di quella della “Prima repubblica” e del “Berlusconi 1”, ma d’altronde sarebbero improponibili le pulsioni storiche ed ideologiche di allora. Forse, proprio per questo, una frase pronunciata da Fini dal palco – relativamente al merito di Giorgia Meloni di aver ricreato in Fratelli d’Italia un senso di comunità – pecca di ottimismo.
Perché questo aspetto è senz’altro vero per la premier ed una sua cerchia ristretta, ma ben diversa è la tensione ideale che noto oggi in gran parte di FdI in periferia, imparagonabile a quella che fu nel MSI-DN o in Alleanza Nazionale. Allora era davvero una comunità forte, magari litigiosa ma molto coesa e che aveva le sue radici profonde in decenni di emarginazione e sofferenza. Oggi FdI rappresenta troppo spesso anche ampie sacche di gestione del potere perché è facile, a volte troppo facile, correre dietro al vincitore.
In una politica senza molti riferimenti culturali e ideologici è facile correre dietro al potere e verso FdI si assiste da tempo al consueto fenomeno dei convertiti dell’ultima ora, quelli pronti a scendere in campo anche per altri fini (minuscolo!) piuttosto che quella comunità di militanti, attivisti, elettori e dirigenti che vedevano in Fini (maiuscolo) il proprio leader, quello che era stato capace di farla uscire dall’emarginazione e dal ghetto.
Cose impensabili per i molti ragazzi oggi in platea, quelli che magari non l’avevano mai visto (né ascoltato) di persona. “Fini chi?”, perché il tempo passa per tutti, inesorabile.































