Massimo D’Alema in una intervista all’Unità indica nelle spinte nazionaliste (a destra) e populiste (a sinistra) i pericoli per l’Europa dopo il compromesso sul caso greco: "Ci sono due spinte populiste che stanno mettendo a rischio i tradizionali pilastri dell’Europa, una di stampo nazionalista, di destra, e una a carattere sociale, di sinistra".
"Nelle aree più penalizzate si sta sviluppando un movimento di rivolta verso un potere percepito come non legittimo e responsabile di tagli, sacrifici. Insomma, di una drastica riduzione dell’aspettativa di futuro. E’ una rivolta che ha due segni diversi. Quello nazionalista o localista contro l’Europa dei burocrati e dei tecnocrati. E quella sociale, che genera forme di populismo di sinistra. Che cos’è in fondo il populismo? La rivolta delle masse contro le elite. È questa una rivolta sociale che produce forme di nuova sinistra radicale come Podemos in Spagna che, nonostante i cosiddetti successi del governo Raioy, già governa città come Madrid e Barcellona. Sono due spinte differenti che stanno logorando i pilastri fondamentali su cui è nata e s’è formata l’Europa: quello del partito popolare e quello del Pse. È una erosione progressiva. E noi socialisti non siamo in grado di imporre la svolta che serviva. Prima siamo stai troppo deboli, la maggioranza in Europa era conservatrice e infatti ha espresso la Commissione Barroso. Dopo le elezioni europee il Ppe è arretrato molto e il Pse ha recuperato terreno e s’è formato un governo di coalizione con Junker che, durante la crisi greca, avrebbe potuto fare il suo lavoro cercando una mediazione per evitare il referendum. A impedirlo è stata la Germania, con una iniziativa della signora Merkel che ha aperto una ferita gravissima, che ha impedito all’organismo comunitario competente di negoziare, puntando tutto sullo svolgimento del referendum con l’idea che la vittoria dei Sì avrebbe rovesciato il governo greco. E’ stata una scelta politica fatta sulla base di una previsione sbagliata".
Massimo D’Alema torna sulla sua recente intervista sulla Grecia, diventata virale in Rete: "Non era un attacco alla Germania. In quella intervista ho spiegato i meccanismi di trasferimento finanziario da un Paese all’altro dell’Unione". "Noi abbiamo una moneta unica, però abbiamo diversi regimi fiscali, diversi sistemi sociali, diversi tassi di interesse, e diversi livelli di competitività e cosa succede? Che nelle aree più forti si raccoglie denaro a bassissimo costo, si comprano i titoli dei Paesi indebitati che hanno dei rendimenti molto elevati e il cui rischio è coperto dall’Unione. Per capirci, se non pagano, paghiamo tutti noi, ed è troppo facile operare così, senza rischio cambio e rischio default. Questo sistema determina flussi costanti di risorse finanziarie dai Paesi poveri ai Paesi ricchi. E’ stata l’università di Gottingen a calcolare l’ammontare di questo enorme flusso di risorse. Quindi, quando si dice ‘aiutiamo la Grecia’ in realtà parte un’operazione finanziaria che alla fine del ciclo ha trasferito denaro pubblico agli istituti privati più esposti sul debito greco. Dei 250 miliardi dati, ai greci ne sono arrivati solo 30".
D’Alema avverte: "Se il sistema entra in crisi, paga anche la Germania. E c’è ancora altro: una politica dei due pesi e delle due misure: chi non si allinea alle regole di bilancio che devono garantire stabilità monetaria viene punito, mentre a chi, come la Germania, è in costante surplus non succede nulla. Questa non è più un’Unione tra uguali, e non è più percepita come tale". "Non possiamo andare avanti cosi, senza un forte potere politico, un’area dell’Euro in cui si realizzi una progressiva armonizzazione delle politiche fiscali e sociali, condizioni di competitività alla pari, meccanismi di trasferimento di risorse dalle aree più ricche a quelle più deboli. D’altra parte è così che si è ramificata la Germania".
"Da tempo sottolineo la debolezza di questa Europa, che nei giorni scorsi ha dato una sconcertante immagine di sé, stretta da un lato dall’emergenza immigrazione e dall’altro dalla crisi greca" la cui gestione è stata "deludente, per usare un eufemismo". Il presidente di Italianieuropei non nasconde la simpatia per Tsipras, che "non è un anti-europeo" e aggiunge: "Sono d’accordo con il giudizio dato da Romano Prodi: abbiamo evitato il peggio, ma non il male. Il peggio sarebbe stato l’espulsione della Grecia dall’euro, ipotesi perseguita dalla destra europea. Politicamente sarebbe stato un colpo al cuore al progetto europeo e avrebbe avuto conseguenze geopolitiche non valutabili nella loro portata. Psicologicamente, poi, la reversibilità dell’euro, la possibilità dell’euro di fallire, avrebbe avuto un impatto devastante sui mercati. I tassi di interesse sarebbero saliti in modo difficilmente arginabile anche da parte della Banca Centrale Europea. Si è evitato un disastro politico dalle conseguenze economiche e finanziare incalcolabili e impressionanti" ma "la crisi greca è stata affrontata insistendo con quelle politiche di austerità che ormai da cinque anni producono danni, politiche punitive che non funzionano. Non può esserci alcuna politica del debito senza che vi sia anche una politica della crescita. In questo accordo ci sono anche punti ragionevoli, intendiamoci. Penso alla necessità di allineare l’età pensionabile a standard europei, alla possibilità di introdurre misure antipovertà, anche se c’è un meccanismo abbastanza stretto del controllo sulla spesa pubblica, all’indipendenza dell’Istituto di Statistica dal potere politico".
L’ex premier stigmatizza anche "il tono vessatorio, il diktat sulle scadenze, che è stato percepito come un’umiliazione", "ma ancor più grave di quel che c’è nell’accordo è quello che non c’è: non c’è nessun piano di investimenti, su scuola o innovazione ad esempio, nulla che aiuti i greci a rilanciare la loro economia. C’è solo l’idea burocratica che tagliando la spesa pubblica e privatizzando ci sarà la crescita. Vuoi la ripresa? Tagli i servizi, tagli i salari, privatizzi porti e aeroporti, riduci i diritti dei lavoratori e così cresci. Questo dogma liberista non funziona, perché senza una politica di investimenti intelligente non si va da nessuna parte".
Sul Pd, D’Alema spiega perché non parteciperà all’Assemblea nazionale: "In 3 minuti non si riesce ad articolare alcun ragionamento". "Sul Pd mi sto interrogando. Non so dove stia andando. O si muove, come è stato scritto, nella direzione di un rassemblement neocentrista, includendo come ormai sembra delinearsi una parte rilevante del ceto politico moderato e berlusconiano che sostiene ormai in modo determinante il governo, oppure si pone il problema di ricostruire il centrosinistra e di ricucire un rapporto con quella parte grande del nostro popolo che alle ultime elezioni ci ha lasciato. Sono due prospettive alternative su cui davvero varrebbe la pena di aprire una discussione seria e non soltanto di affidarsi ai calcoli di un capo".
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