Sette ore di Camera di Consiglio e il Paese in fibrillazione, poi il colpo durissimo: la sentenza della Cassazione ricalca quella milanese e mostra disumano disprezzo per il lavoro della difesa; se qualcosa cambia rispetto al copia e incolla già sperimentato, lo si deve alla lettura sulla pena accessoria data dal procuratore generale, come e’ comprensibile che avvenga tra riguardosi componenti della stessa casta.
Ci eravamo illusi in tanti: perfino al boss più spregevole un cavillo giuridico puo’ risultare utile, chissa’ che il nuovo illustre penalista della difesa non abbia in mano il segreto della pietra filosofale, quello che puo’ consentire di completare il cammino della implacabile e fatale giustizia milanese senza coinvolgere nel destino di un singolo il destino di una nazione.
Sarebbe bastato mantenere l’impianto accusatorio derubricando il reato a frode fiscale di tipo amministrativo, e avremmo salvato la faccia dura della Bocassini e la speranza di pacificazione iniziata con la faccia buona e onesta di Enrico Letta. Il circo mediatico ha occupato tutti gli spazi consentiti, formulando ipotesi a beneficio degli ingenui e degli incassi: ma quale collega magistrato avrebbe potuto annullare gli sforzi titanici di un collegio giudicante a un passo dalla corona d’alloro, che ha lavorato senza tregua per accelerare la resa dei conti con il nemico pubblico numero uno?
Nessuno con un minimo di raziocinio avrebbe potuto sperare; eppure, come succede per il malato terminale, si sono cercate ipocritamente tutte le possibili vie di salvezza e le si sono propinate a parenti e ad amici, con l’effetto finale di acuire la rabbia dell’impotenza e il dolore della sconfitta. Dura lex, sed lex. La legge ha vinto, non siamo certi che abbia vinto la giustizia.
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