Lo ammetto. Prima di cominciare a lavorare nella Silicon Valley meno di due mesi fa, sentivo amici e conoscenti raccontare della loro flessibilità nel lavorare da casa e mi chiedevo: “Certo, un altro modo per spassarsela e farsi una giornata di vacanza pagata”. La cultura a cui ero abituata prima dell’avventura californiana è facile da raccontare: dipendenti timbrano il cartellino mentre sono al bar, certificati di malattia mentre si è sdraiati in spiaggia, nota spese per gli acquisti di famiglia. Luoghi comuni potrebbe rispondermi qualcuno, specchio di una realtà (quella italiana) con una pubblica amministrazione al lastrico e aziende in fallimento ribadisco io.
La company per cui lavoro è una di quelle aziende americane che permette il telecommuting. Non nego che il primo giorno ero a metà tra la sorpresa nel vedere l’ufficio vuoto e l’incertezza di dover lavorare con persone conosciute solo per indirizzo email. Dubbi e perplessità svaniti in pochi giorni, mentre prendeva piede la consapevolezza che la gente a casa lavorava, se non di più, almeno quanto chi era in ufficio. E questa constatazione non era fatta sugli altri, ma su me stessa. Nella prima settimana di lavoro, esordivo con tanto di influenza e, per evitare di contagiare i miei colleghi, il mio manager mi suggeriva di stare a casa, ovviamente lavorando. Qualche giorno dopo, i miei amici mi chiedevano (con il famoso gesto delle virgolette): “Quindi hai lavorato da casa?”. Inutile dire che il tono era sarcastico, ma mai in malafede. E questo perché il polverone che ha suscitato la CEO di Yahoo nel chiedere ai suoi dipendenti di tornare a lavorare in ufficio non s’era ancora alzato. Io in quel giorno ho lavorato quanto avrei fatto in ufficio e il motivo è più che banale: dovevo dar conto al mio manager a fine giornata esattamente come avrei fatto standomene in ufficio.
Secondo una ricerca, lavorare da casa garantisce più produttività e permette a chi assume di attirare lavoratori che hanno bisogno di flessibilità. Questo tipo di aziende finirebbero così per guadagnarci perché in ufficio, dicono alcuni, ti distrai se il collega viene a parlare con te, interrompendo quello che stai facendo. O ancora, chi ripaga lo stress di ore e ore bloccato nel traffico? Ovviamente si parla di aziende IT per le quali il lavoro dietro ad un PC con connessione internet potrebbe essere fatto anche da un’isola deserta. Tuttavia, tenendo conto della cultura americana dove lavorare da casa non significa dolce far niente, secondo la ricerca InformationWeek 2013 U.S. Salary Surve il "telecommuting/working at home" è priorità per il 43% degli intervistati.
Quindi Marissa Mayer sbaglierebbe a richiamare tutti dietro la scrivania degli uffici di Sunnyvale a partire da giugno? Probabilmente no: chi la conosce racconta di una workhoalic che ha accettato l’incarico a Yahoo al quinto mese di gravidanza e ha usufruito di solo due settimane di maternità. Quello che chiede ai suoi dipendenti è “comunicazione e collaborazione, da realizzare lavorando gomito a gomito”.
Perplessità sono cresciute soprattutto tra le neomamme che hanno trovato nel telecommuting la possibilità di coniugare lavoro e famiglia: donne che non chiedono di lavorare di meno, ma di finire il proprio lavoro in tempo, essendo allo stesso tempo buone mamme e mogli. Perché se è vero che l’America si è dimostrata avanti su molti fronti, rimane un dato negativo come nel resto del mondo: le mamme, a parità di curriculum, hanno il 79% di possibilità in meno di essere assunte rispetto agli uomini e il 100% in meno nell’ottenere una promozione (American Sociological Review). La scelta della Mayer potrebbe danneggiare soprattutto il gentil sesso e aumentare la cosiddetta “motherhood penalty.” Ma per chi (come la prima donna di Yahoo) si considera tutto tranne che femminista e ha a cuore solo l’azienda che dirige (a tal punto – dicono i rumors – da voler pagare di tasca propria un asilo nido a due passi dall’ufficio), quello degli “svantaggi della maternità” è veramente l’ultimo dei grattacapi.
































Discussione su questo articolo