Le sigle dell’opposizione siriane si dividono per la lotta di potere, ma perdono di vista le attuali priorità, che non è la formazione di un governo transitorio ma risparmiare i civili dalla catastrofe umanitaria: è il pensiero di Faek Hwaijeh, 52 anni, storico dissidente siriano, per dieci anni in carcere per motivi politici, e tra i firmatari dell’Appello di Roma del 26 luglio "per una soluzione politica". Poche ore dopo l’annuncio, ieri, da parte di Haytam al Maleh, oppositore siriano rifugiatosi al Cairo, di esser stato incaricato da altri suoi colleghi e compagni di lotta di formare "un governo di transizione", il Consiglio nazionale siriano (Cns), principale piattaforma di oppositori all’estero, ha definito l’iniziativa "prematura". Mentre i ribelli armati, impegnati nella battaglia di Aleppo, hanno respinto con forza ogni "azione politica decisa da chi non sta combattendo sul campo".
Anche per Hwaije è "ancora presto per formare un governo transitorio" perchè "bisogna prima affrontare la tragedia umanitaria dei civili siriani". Il dissidente ribadisce inoltre il suo mantra: "le armi non sono la soluzione. Un conto è il diritto legittimo dei cittadini siriani all’autodifesa dalla repressione del regime di Bashar al Assad e un conto è ricorrere alle armi per compiere assalti senza alcuna guida politica. Cosí – afferma – nella difficile situazione attuale si rischia di dividere la Siria e innescare la guerra civile". "Per assumere un’iniziativa politica pacifica i cittadini siriani devono peró essere sostenuti dalla comunità internazionale, che finora ha fallito i suoi sforzi", sostiene Hwaijeh interpellato telefonicamente dall’ANSA. "Ma ancor di piú la volontà pacifica dei siriani deve esser appoggiata dall’opinione pubblica europea, senza la quale ogni tentativo risulterà vano".ÿ ÿ ÿ Hwaijeh ha partecipato la settimana scorsa assieme ad altri esponenti delle opposizioni siriane in patria e all’estero a una conferenza organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Nel comunicato finale si è ribadito il sostegno a "tutte le forme di lotta politica e pacifica e di resistenza civile". Maÿcom’è possibile parlare di "resistenza civile" e "lotta pacifica"ÿnella Siria di oggi, dove Aleppo e Damasco bruciano assieme ad altre città intrappolate in scontri tra ribelli e governativi e sottoposte all’incessante repressione del regime? "E’ vero: il ricorso da parte del regime alla soluzione militare ha ridotto moltissimo i margini di manovra per una soluzione politica e una resistenza civile, con manifestazioni popolari e altre iniziative rese impossibili dalla repressione", ammette Hwaijeh. "Ma c’è ancora una possibilità, seppur esigua, che le pressioni internazionali costringano il regime a ritirare le sue forze militari dai centri urbani per far emergere le forme di resistenza pacifica". Finora, peró, tutti gli sforzi internazionali sono falliti e la comunità internazionale sembra sempre piú divisa: "La società civile europea non si è finora mossa per fare pressione sui propri governi. Quando ció accadrà e si formerà un fronte dalla comunità civile internazionale, il regime ritirerà le sue truppe e i siriani troveranno i modi di resistere in modo pacifico e trovare una loro via politica".
































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