Sono milioni i connazionali che vivono stabilmente fuori dal Bel Paese. E sono destinati ad aumentare per le difficoltà occupazionali che continuano a essere presenti nella Penisola. Si allontana, dalla terra natia, personale qualificato con prospettive occupazionali migliori fuori dagli italici confini. L’età media non supera i quarantacinque anni. Anche se il gruppo più consistente si attesta tra i 25/35 anni.
Mentre la crisi socio/economica sembra stagnare, perdiamo opportunità d’occupazione qualificata e i giovani alla ricerca di un primo lavoro sono in aumento. Tra nord e sud del Paese le differenze sono marginali e stanno a evidenziare che l’Italia non ha ancora trovato un parametro economico su cui costruire dei progetti a medio termine.
I motivi di questa “fuga” di cervelli sono complessi e si rifanno agli ultimi dieci anni di una politica che non ha consentito di recuperare un “gap tecnologico” che altri Stati UE sono stati in grado di sanare proprio prendendo in carico le maestranze qualificate maturate nella nostra Penisola. Le prospettive per il futuro non ci sembrano migliori.
Si continuerà a cercare altrove ciò che la Patria non è più in grado di garantire. Per ridare valenza ai “numeri”, c’è da rivisitare tutto il mercato del lavoro e ridare dignità a chi, tutto considerato, la merita a pieno titolo. Dato che la disoccupazione nazionale si presenta ancora con una percentuale a due cifre, ci sembra evidente che la “ripresa”, tanto evidenziata da questo esecutivo delle “speranze”, non c’è ancora.
Solo tramite un progetto occupazionale diverso e meno dispersivo, si potrebbe, almeno in parte, recuperare il terreno perduto. In questo travagliato 2016, non riusciamo a focalizzare un movimento dei lavoratori con strategie meno obsolete. La disoccupazione non demorde, ma i mezzi per rintuzzarla sono rimasti quelli di un tempo. Gli effetti non si possono sminuire. Da “forza” lavoro, la Penisola è sempre più “forza” della disperazione.
































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