Matteo Renzi sapeva che l’ostacolo principale sul suo cammino sarebbe stato Angelino Alfano. Non si poteva chiedere all’autore di una scissione storica dal movimento di Silvio Berlusconi di rinnegare improvvisamente il patto implicito su cui essa e’ avvenuta: stabilita’ di governo in cambio dello spazio politico per radicare anche in Italia il popolarismo europeo e aprire la pagina del dopo-Cav. Nasce di qui la frenata sulla tabella di marcia per il varo del nuovo esecutivo. Senza il Nuovo centrodestra, il sindaco rottamatore non avrebbe la maggioranza al Senato anche in presenza di un’apertura dei parlamentari di Gal (il gruppo che riunisce ex forzisti, centristi e il vecchio Mpa di Raffaele Lombardo). Si tratta di una partita molto tattica: al di la’ dei proclami, e’ chiaro che gli alfaniani non avrebbero nessun interesse a correre prematuramente ad elezioni dalle quali rischierebbero di uscire pesantemente ridimensionati. Ma anche il segretario democratico non ha questo interesse: con ogni probabilita’ le vincerebbe, ma si troverebbe senza una maggioranza, costretto a contrattare proprio con Silvio Berlusconi. Ne deriva che il negoziato si muove soprattutto sulla visibilita’ da accordare al Ncd nel nuovo esecutivo.
Alfano chiede di conservare il Viminale e i ministeri di Lupi e Lorenzin, pronto a rinunciare alla poltrona di vicepremier che ha soprattutto un valore onorifico. Questo e’ qualcosa che il premier incaricato puo’ anche concedere. Le difficolta’ cominciano sul piano del programma (difficile l’intesa sulla tassazione delle rendite finanziarie e sulle unioni civili) e soprattutto su quello della ”doppia maggioranza”: un punto sul quale i centristi saranno probabilmente costretti a cedere. L’accordo sulla legge elettorale, che non piace agli alfaniani, per Forza Italia non si tocca: e’ la pietra angolare sulla quale si regge l’asse riformistico Renzi-Berlusconi. Gli azzurri hanno avvertito che su questo terreno il rottamatore non ha carta bianca. Altrimenti salta tutto. Nonostante cio’ gli allibratori (ci sono anche loro…) appaiono ottimisti: Renzi chiudera’ la partita a fine settimana. Anche perche’, 5 stelle a parte, le altre forze politiche hanno preannunciato un’opposizione non pregiudiziale.
Il premier in pectore sara’ giudicato sui fatti concreti. In tal senso, bisogna osservare che c’e’ gia’ un ritardo sul cronoprogramma presentato da poche ore: ben difficilmente la nuova legge elettorale potra’ essere approvata entro il mese di febbraio. Pero’ e’ vero che quando cio’ accadra’, sara’ nata una sorta di clausola di salvaguardia che potrebbe consentire in ogni momento al premier di chiedere il ritorno alle urne di fronte ad improvvisi agguati parlamentari. Renzi ha mostrato una certa abilita’ mettendo la riforma elettorale al primo punto: da questo successo si potranno giudicare le prospettive della legislatura. Quanto al programma economico, Filippo Taddei, responsabile del Pd, ha fatto sapere che Renzi non pensa ne’ alla patrimoniale ne’ all’abolizione dell’art. 18. Voci messe in giro ad arte per complicare il negoziato con gli alleati. Piuttosto il suo piano e’ di tassare le rendite finanziarie, ridurre subito Irap ed Irpef, rivedere il sistema degli ammortizzatori sociali. Sullo sfondo restano i rapporti con l’Europa e l’ipotesi di rinegoziare i patti di stabilita’: una richiesta che giunge sia dalla minoranza del Pd e da Sel che da Fi. Servirebbe un ministro dell’Economia cosi’ autorevole da mettere in discussione il merkelismo della Ue: questa ricerca e’ forse il compito piu’ difficile del rottamatore.
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