Gli eventi sono precipitati e, dopo che gli è venuto a mancare l’appoggio di una parte del partito, la decisione dell’ultima ora di Berlusconi di votare la fiducia a Letta ha tutta l’apparenza di una resa. Alfano e coloro che lo hanno seguito, non hanno motivo per cantare vittoria. Avendo di fatto sancito una separazione nel PdL, si sono consegnati al Pd con le mani legate. È facile infatti prevedere che non avranno più alcun potere nella coalizione. Saranno solo una minoranza, senza padre fondatore e carenti di una strategia politica, e saranno considerati alleati solo fino a quando verranno ritenuti utili.
In troppi nel PdL non hanno voluto rendersi conto della gravità della situazione venutasi a creare con la condanna di Berlusconi e con il rifiuto di procurargli una via d’uscita, che, a cominciare dal presidente della Repubblica, per finire ai componenti del Senato, gli avrebbero potuto facilitare. Ma era da ingenui immaginare che chi lo stava braccando da anni, gli avrebbe alla fine gettato un’ancora di salvezza per garantirgli l’agibilità politica.
Coloro che oggi all’interno del PdL abbandonano il perseguitato al suo destino, fingendo che si tratti di un suo problema personale, e credendo di poter continuare come se nulla fosse ad appoggiare il governo Letta e ad approvare misure come l’aumento dell’Iva (che sono l’antitesi del programma su cui i parlamentari del PdL sono stati eletti), stanno facendo un’operazione che non solo è vile, ma che si rivelerà un errore politico, infausto anche per loro.
Abbandonare oggi Berlusconi, significa lasciare che a decidere, in casa del PdL e in Italia, siano i magistrati e i senatori della sinistra. Tutti nel PdL avrebbero fatto bene a manifestare un soprassalto di orgoglio, e restare compatti e determinati. Sembra invece che Alfano si sia lasciato influenzare da un’inchiesta elettorale che lo darebbe al 15%. A parte il fatto che con quella percentuale resterà sempre ininfluente, farebbe bene a ricordarsi di un inattendibile sondaggio, presentato anni fa a Ballarò, che dava Fini con il doppio di gradimento rispetto a Berlusconi come leader del centrodestra. Sappiamo quale poi sia stata la scelta degli elettori.
Il capo politico del centrodestra è (o dobbiamo dire era?) Berlusconi, semplicemente per il fatto che la sua leadership se l’è sempre guadagnata sul campo, e in ripetute elezioni. Al momento non si vede un nuovo leader all’orizzonte, né riteniamo che lo possano decidere a tavolino i Quagliarello e i Cicchitto.
Oggi in Italia il sogno di vere riforme liberali si allontana, e si illudono coloro che pensano di poterle realizzare restando soggetti al Partito Democratico di Epifani. Sempre che si tratti di illusioni, e non della inconfessabile intenzione di restare comunque attaccati al carro che per ora risulta vincente.
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