Enrico Letta e’ costretto a congelare l’operazione rimpasto e ”Impegno 2014” (il nuovo contratto di coalizione), in attesa di una schiarita sul fronte della riforma elettorale. Una frenata che non fa bene all’immagine del premier, sempre piu’ dipendente dalle mosse di Matteo Renzi, ma priva di alternative.
Il segretario del Pd, rinviando ogni decisione sul programma di governo ad una Direzione ancora da convocare, ha lanciato un segnale implicito e allo stesso tempo chiarissimo: tutto dipende dalla tenuta dell’accordo con Forza Italia. Accordo che puo’ essere cambiato solo con il consenso di tutti i contraenti (Pd, Fi e Ncd). Cio’ svuota in anticipo le proposte della minoranza democratica e dei piccoli partiti che contestano le liste bloccate e le soglie di sbarramento: il sospetto dei renziani e’ che dietro l’ondata di emendamenti gia’ preannunciati bruci una gran voglia di tenersi il proporzionale e il Senato a tutela proprio delle microformazioni politiche. Tanto che il sindaco di Firenze mette nel conto la comparsa dei franchi tiratori e del fuoco amico. Ma proprio questo giustifica la frenata sul programma e sul cambiamento della squadra di governo. Anche perche’ c’e’ chi propone la nascita di un Letta-Bis (Gianni Cuperlo, Renato Schifani): un passaggio che diluirebbe ulteriormente i tempi del negoziato con rischi che Renzi non sembra voler correre (e su questo punto c’e’ sintonia con il Quirinale). Ne deriva che per il momento il presidente del Consiglio puo’ lavorare a provvedimenti settoriali (le privatizzazioni di Poste e Enav per esempio) in attesa che si capisca quale sara’ il cammino delle riforme in Parlamento.
Se Renzi riuscira’ a circoscrivere le critiche di quanti giudicano non tanto il suo progetto quanto l’opportunita’ dell’accordo con Berlusconi, e a scrollarsi di dosso i paragoni con il Cavaliere e con Bettino Craxi, tutto lo scenario si rimettera’ in movimento; altrimenti – come ha esplicitamente avvertito il rottamatore – prendera’ corpo il pericolo di un fallimento che potrebbe concludersi con il ritorno alle urne. Soluzione che in realta’ potrebbe piacere solo a Beppe Grillo e percio’ al momento molto improbabile.
Il leader del Movimento 5 Stelle ha fiutato le difficolta’ nel campo avversario ed e’ sceso a Roma per un’offensiva in piena regola: con l’Italicum, commenta, si sta tentando di far fuori il M5S ”nel silenzio di Napolitano e di Letta”. Grillo accusa il capo dello Stato di aver orchestrato un ”colpettino di Stato” ed esclude qualsiasi accordo con la destra o con la sinistra: ”siamo stati eletti per mandarli tutti a casa”, decreta. La strategia del leader genovese punta sullo sfondamento elettorale alle europee per cambiare l’Italia dall’ Europa. E’ un piano che preoccupa i partiti tradizionali per un motivo semplicissimo: alle europee si vota con il proporzionale e il voto di protesta, quello che una volta era definito il ”voto in libera uscita”, potrebbe assestare un brutto colpo al governo e alla maggioranza se continueranno a mancare risultati concreti contro la crisi economica. Cio’ spiega perche’ Renzi insista per fare presto sulle riforme, in modo da chiudere subito dopo un accordo forte anche su lavoro e crescita (Jobs Act). Tuttavia cio’ presuppone una pacificazione interna al Pd e all’arcipelago centrista di cui non si scorgono ancora i presupposti.
































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