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                  L’ANALISI DI DARIO RIVOLTA | Ucraina, le responsabilità degli Stati Uniti

                  Non è un caso che tutti i sostenitori di Kiev abbiano deciso di far partire i propri ragionamenti dal febbraio 2022, cioè dal momento in cui, formalmente, le truppe della Federazione Russa sono entrate nel territorio ucraino…

                  di Dario Rivolta
                  mercoledì 09 Luglio 2025
                  in L'OPINIONE
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                  Di fronte a un qualunque conflitto, ognuna delle parti in gioco cerca di piegare la lettura dei fatti e degli antefatti verso la direzione che più fa loro comodo e, in particolare, di descrivere a proprio favore le circostanze e le ragioni che hanno portato alla situazione del confronto.

                  Nel farlo, anche la scelta della data da cui partire per spiegare gli eventi diventa fondamentale.

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                  Nel caso attuale della guerra in Ucraina non è un caso che tutti i sostenitori di Kiev abbiano deciso di far partire i propri ragionamenti dal febbraio 2022, cioè dal momento in cui, formalmente, le truppe della Federazione Russa sono entrate nel territorio ucraino.

                  Evidentemente si è trattato di un’invasione e, se ci si limita a questo, è molto più semplice attribuire a Mosca tutte le colpe di quanto stia accadendo.

                  L’analista però, a differenza del politico, non ha bisogno di giustificazioni ma, se intellettualmente onesto, cerca tra tutte le cause. Anche se si troverà ad andare contro i desideri del proprio governo.

                  Un esempio di ricerca storica che cerca l’obiettività è l’interessante libro di un accademico britannico che ha insegnato storia in diverse università europee ed americane, il professor Jonatan Haslam.

                  Pochi mesi fa, nel 2024, ha pubblicato un libro con lo scopo di mettere in luce quali siano stati gli antefatti che ci hanno portato all’attuale crisi ucraina. Il titolo è “Hubris: the American Origins of Russia’s War against Ukraine” (“Tracotanza: le origini americane della guerra della Russia contro l’Ucraina”).

                  Haslam non è il primo accademico anglosassone ad avere il coraggio di rompere il fronte unito di chi vuole attribuire solo a Mosca la responsabilità della guerra in atto ai confini dell’Europa.

                  Prima di lui un altro accademico, questa volta americano, l’eminente politologo John Mearsheimer, aveva più volte spiegato ai suoi allievi le motivazioni e le origini vere di quella guerra nonostante, ben presto, perfino l’autorevole rivista di politica internazionale Foreign Affairs smise di pubblicare i suoi articoli perché li giudicava troppo controcorrente.

                  Haslam comincia la sua ricostruzione a partire dagli incontri avuti nel 1990 tra Gorbaciov e il segretario di Stato americano James Baker in merito alle condizioni giudicate necessarie dai sovietici per poter consentire la riunificazione della Germania dopo il crollo del muro di Berlino.

                  In realtà il problema di una possibile riunificazione tedesca non riguardava solamente l’Unione Sovietica, poiché dalla fine della Seconda guerra mondiale anche la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti, in quanto “occupanti”, vantavano dei diritti.

                  I leader occidentali, con qualche resistenza da parte del primo ministro britannico Margaret Thatcher, si dichiararono disposti a separarsi dai loro “diritti”, ma occorreva convincere anche Gorbaciov. A quel punto Baker concordò con il presidente russo che, nel caso di una riunificazione tedesca, la Nato non avrebbe spostato le sue postazioni al di là del fiume Oder (l’allora confine tra le due Germanie).

                  La documentazione storica ci dice che l’allora presidente americano Bush (il padre) non fosse d’accordo su quella che considerava una concessione e al ministro degli Esteri tedesco Genscher, che condivideva invece quell’idea, fu comunicato per iscritto che le discussioni sulla giurisdizione futura della Nato avrebbero dovuto essere evitate.

                  Sembra che Genscher nelle sue conversazioni con le controparti sovietiche avesse persino suggerito che il patto di Varsavia e la Nato avrebbero potuto entrambe “dissiparsi” completamente e allo stesso modo la pensavano anche gli intellettuali cecoslovacchi anticomunisti (quali Havel).

                  Tuttavia, secondo alcuni storici, su pressione di Bush, Helmut Koll acconsentì a non accennare più nelle negoziazioni alla questione del possibile allargamento della Nato impegnandosi ad offrire in cambio ai sovietici ingenti somme di denaro tedesco per aiutare l’economia di Mosca in sofferenza.

                  Le parole a suo tempo spese da Baker e da Genscher con Gorbaciov non furono mai messe per iscritto anche se, come confermato da documenti recentemente resi pubblici dal Ministero degli Esteri britannico, era dato per assodato da tutte le parti in gioco che nessuno dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia sarebbe entrato a far parte della Nato.

                  Haslam comunque dimostra, documenti alla mano, che Washington ebbe da subito l’intenzione di spostare “borsa e bagaglio nella sfera di influenza sovietica e, in effetti, sul suolo ex sovietico”. Aggiunge: “quegli americani che erano impegnati in questa impresa sapevano esattamente cosa stavano facendo”, cioè inimicarsi la Russia.

                  Sempre secondo Haslam, la Russia ha iniziato questa guerra soltanto perché voleva impedire una possibile espansione della NATO in Ucraina, e ciò nonostante Putin, che diventò presidente (ad interim) il 31 dicembre 1999, ha comunque aspettato fino al 2014 per impadronirsi della Crimea e lo ha fatto semplicemente per impedire alla Nato di attraccare le proprie navi nel principale porto russo nel sud: Sebastopoli.

                  Che la politica estera degli Stati Uniti da Bush padre a Biden fosse quella di imporre una pax americana ben oltre i confini dell’Europa occidentale prevedendo, segretamente o meno, già almeno dal 1994 l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non è solo un’opinione di Haslam ma è confermata sia dal libro “La grande scacchiera” di Brzezinski, uscito nel 1997 (che lo considerava un passo essenziale per garantire la supremazia mondiale degli USA) sia dalle parole della sottosegretaria di Stato americana Victoria Nuland, intercettata telefonicamente nella sua conversazione con l’ambasciatore degli Stati Uniti a Kiev nel 2014.

                  In quella conversazione, avvenuta durante i fatti di Maidan, arrivò perfino a nominare chi avrebbe dovuto essere il futuro primo ministro ucraino, così infatti avvenne.

                  La Nuland anche in una conferenza pubblica negli Stati Uniti parlò esplicitamente dei cinque miliardi di dollari “investiti” in Ucraina durante gli anni per ottenere che quel Paese “entrasse nell’orbita occidentale”.

                  Comunque sia, già nel 1994 l’allora presidente Clinton e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Tony Lake discussero sulla possibilità di ingresso dell’Ucraina e dei Paesi ex-sovietici nella Nato e, consci del significato aggressivo che ciò avrebbe trasmesso alla Russia, ipotizzarono di realizzare per i Paesi dell’ex patto di Varsavia un raggruppamento provvisorio che permettesse loro di aderire all’Alleanza in un secondo momento.

                  Tuttavia, un po’ per le pressioni dei Paesi est europei che continuavano a temere un revanscismo russo e un po’ per i parlamentari democratici e repubblicani che chiedevano un allargamento più rapido, Clinton cambiò rotta e dette il via libera all’allargamento immediato dell’Alleanza. Restavano ancora esclusi la Georgia, l’Ucraina e la Moldavia ma, al vertice Nato di Bucarest del 2008, gli Stati Uniti inserirono all’ordine del giorno il loro ingresso quali membri effettivi.

                  La decisione fu stralciata su pressione di Francia e Germania cui era ben chiaro che ciò sarebbe suonato come uno schiaffo politico a Mosca, e che i russi non avrebbero potuto non reagire.

                  Alla fine il vertice di Bucarest si chiuse solo con la dichiarazione che il possibile ingresso di questi Paesi nell’Organizzazione Atlantica restava una ipotesi valida, ma veniva rimandata a data da precisarsi.

                  Quel che successe poi nel 2014 a Kiev sulla Piazza Libertà (nota come Maidan) è noto, e nonostante le smentite della nostra propaganda nessuno può negare essersi trattato di un vero e proprio colpo di stato contro un regime certamente corrotto (come l’attuale) ma eletto democraticamente.

                  Tutti gli osservatori indipendenti sanno bene che l’operazione fu organizzata soprattutto da americani, britannici e polacchi.
                  Nel fare la storia della guerra in atto non va dimenticato che, prima dell’invasione russa del 2022, una atroce guerra civile era già in atto tra le regioni russofone del Donbass e il nuovo governo installatosi a Kiev dopo la fuga di Yanukovich.

                  All’epoca non si parlava ancora di secessione ma gli abitanti di quelle zone chiedevano semplicemente una autonomia amministrativa e la continuazione dell’uso della lingua russa accanto a quella ucraina. Lingua che invece era stata messa fuori legge dai nuovi governanti.

                  Nel suo libro, le conclusioni che tira Haslam sono ben chiare: “La colpa qui è degli Stati Uniti”. Non stupisce che la stessa Foreign Affairs si sia precipitata a pubblicare una recensione, affidata a un’accademica della ben nota Johns Hopkins School, molto negativa del volume con l’intento, non riuscito, di smentire i fatti citati da Haslam. Purtroppo anche tra i professori universitari ci sono alcuni che alla realtà dei fatti preferiscono anteporre le ragioni della propaganda.

                  Tags: breakingUcrainaUsa
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