I “desiderata” dei giovani italiani all’estero sono noti e sono sempre gli stessi, perché nulla da quando sono stati chiamati in causa è stato realmente fatto. È il j’accuse lanciato questa mattina alla Plenaria del Cgie dal presidente della VII Commissione Nuove Migrazioni e Generazioni, Carlo Erio. E d’altra parte basta guardarsi attorno in Assemblea per non vedere nemmeno l’ombra di un under 30, ma diciamo pure 40 (l’unico è Mariano Gazzola, che di anni ne ha 39).
Intanto il tempo passa e dei 42 giovani che dalla Francia parteciparono alla Conferenza dei giovani italiani nel mondo “solo 5”, ha riferito Erio, “sono ancora interessati ad essere presenti in questa istituzione un po’ desueta”. Riorganizzare una nuova Conferenza non è possibile, poiché non vi sono i fondi, ma si potrebbero organizzare incontri-Paese “meno costosi” per rilanciare le idee base che potrebbero far aggregare nuove leve.
Di fatto però occorre porsi delle domande: “Siamo forse fuori moda? Siamo dei dinosauri? E i giovani cosa rappresentano? E come vogliono essere considerati in questo contesto?”. Di certo, ha osservato Erio, “in 10 anni vi è stata un’evoluzione non indifferente della loro presenza all’estero”, caratterizzata oggi da un’elevata mobilità, qualità professionale o di studio e dalla capacità e possibilità di “valorizzare l’immagine dell’Italia nel mondo”. Così stando le cose, “Comites e Cgie sono appropriati a ricevere una loro rappresentanza? Pensavamo di sì”, ma forse “di Comites e Cgie i giovani non sentono il bisogno”. Piuttosto, ha continuato il consigliere, preferiscono associarsi in altro modo ed hanno i “loro luoghi di incontro”, ad esempio nelle università. Ed anche se “i Comites tendono loro la mano” – e in effetti vi è stat o un aumento della loro presenza nei Comitati – questo è solo uno dei modi associativi delle nuove generazioni.
Ebbene, ha riflettuto Carlo Erio, a 3 anni dalla Conferenza mondiale e “in un contesto irto di difficoltà” qual è quello attuale, “dobbiamo lasciar loro la casa in ordine nel caso domani dovessero essere interessati”. E per il presidente della Commissione “lasciare in ordine” vuol dire liberare la rappresentanza degli italiani all’estero dalla politicizzazione per renderla più “democratica”, “un edificio non contaminato”.
Ma la colpa non è tutta della gerontocrazia del Cgie. Se, come il Consiglio aveva chiesto, le elezioni per il rinnovo dei Comites si fossero tenute a tempo debito, quando la Conferenza mondiale era ancora “fresca”, molti giovani sarebbero stati subito coinvolti e farebbero oggi già parte di Comites e Cgie. Ma così non è stato. E nel frattempo ciò che non ha fatto il Consiglio, lo hanno fatto alcune Regioni, come Friuli, Piemonte, Toscana ed Emilia-Romagna, che “hanno dato risposte mirate, mentre noi temporeggiavamo con i nostri giochetti parlamentari. Ma i giovani non ci aspettano”, ha ammonito Erio, e vanno avanti da soli.
Occorre allora riprendere quello che il presidente Erio ha definito “il cammino della speranza”, perché i giovani sono il nostro futuro e il Cgie ha il dovere di trovare “tempo e risorse” per riportare i giovani nelle sue riunioni. (aise)
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