La generazione del millennio made in Italy resta più a lungo a casa con i genitori – studi sempre più lunghi, precariato e difficoltà di trovare lavoro – e posticipa le classiche tappe dell’età adulta, come matrimonio, convivenza, figli, ma non sono bamboccioni. Anzi, sono cosmopoliti e disposti ad emigrare, e vivere all’estero, magari per un po’ di tempo.
I giovani italiani si tengono anche fuori dalle arene politiche ma si informano e partecipano socialmente. Il Rapporto Istat 2016, infatti, ha rilevato il cambio generazionale: "Le generazioni sono diverse per i comportamenti sociali tipici. Ad esempio, la partecipazione politica, in particolare quella visibile (partecipazione a comizi, cortei, sostegno finanziario o attivo a un partito), registra un calo generale negli anni. Confrontando le generazioni, quelle più mature (Generazioni della ricostruzione, dell’impegno e dell’identità) hanno livelli partecipativi sempre più elevati rispetto alle generazioni più giovani".
Ma partecipare alla vita politica significa anche solo informarsi e parlare di politica. Così – sottolinea l’Istat – in questo caso si può parlare di partecipazione "invisibile", che cresce nel tempo in tutte le generazioni osservate e raggiunge i livelli più alti nelle età adulte e avanzate (Generazioni della ricostruzione, dell’impegno e dell’identità). La partecipazione sociale è invece in crescita e interessa in modo trasversale tutte le generazioni, con in prima fila i baby boomer.
Inoltre, annota il rapporto, tra i giovanissimi della Generazione delle reti (nati a partire dal 1996), quelli con background migratorio utilizzano le nuove tecnologie in modo più intenso, circa uno su 3 è su Internet per più di due ore al giorno contro uno su cinque dei coetanei italiani. Ma soprattutto "le giovani generazioni di oggi sono a pieno titolo cosmopolite, anche per questo sono disponibili a emigrare, magari temporaneamente".
Non a caso sul desiderio di vivere all’estero da grandi le differenze fra ragazzi di origine straniera e italiani non sono così importanti, 46,5% i primi e 42,6% i secondi. Si tratta di percentuali molto elevate che confermano quanto sia cambiata fra le nuove generazioni la percezione dello spostamento all’estero rispetto al passato.
































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