Ogni anno, o quasi, torna in auge la discussione su come rendere più avvincenti i campionati nazionali di calcio. C’è chi pensa a norme nuove da inserire nel regolamento, chi invece a maggiori controlli attraverso la tecnologia. E c’è chi da anni caldeggia la possibilità di modificare il numero di squadre partecipanti ai maggiori campionati europei. È il caso della Germania e anche dell’Italia.
In questi due paesi è viva la discussione su incrementare o ridurre il numero di squadre che prendono parte alle categorie superiori.
In Germania, in particolare, sono 18 le squadre partecipanti e si vorrebbe portare questo numero a 20. Secondo alcuni, infatti, di fronte a un numero più esiguo di partecipanti le quote sulla vincente della Bundesliga finiscono puntualmente col sorridere alle solite big, tra le quali spicca l’immancabile Bayern Monaco o il Bayer Leverkusen. Altri dicono che aumentando il numero di squadre partecipanti calerebbe la qualità del campionato.
Per contro, in Italia, la discussione verte sul ridurre il numero di club in Serie A e portarle da 20, come è lo stato attuale, a 18.
La proposta in Germania
Da oltre cinquant’anni la Bundesliga si conferma con un format chiuso di 18 squadre, una dimensione stabile sin dalla stagione 1965‑66. Solo nella stagione 1991-92 la massima divisione tedesca ospitò eccezionalmente 20 club, in occasione della riunificazione tra Germania Est e Ovest, prima di tornare all’assetto a 18 dalla stagione successiva.
Negli ultimi anni è emerso un dibattito sulla possibilità di ampliare la rosa delle partecipanti: sostenitori e critici si confrontano su vantaggi economici e carichi organizzativi. Inoltre secondo il fronte dei “pro” più squadre eviterebbero la retrocessione diretta, si ridurrebbe la rotazione allenatori e si favorirebbe una maggiore continuità gestionale. Ad ogni modo non esiste una proposta vera e concreta, soprattutto perché l’attuale format è vincolato alla vendita dei diritti televisivi, almeno fino al 2029.
La situazione in Italia
Discorso opposto c’è in Italia. L’ultimo no della Serie A a 18 squadre è stato incassato nel febbraio 2025. In quell’occasione il presidente federale Gabriele Gravina ha sottolineato che questo cambio di format non è una priorità e non è un problema per la massima serie italiana. Eppure per il fronte dei fautori di questa eventuale riforma, ci sarebbero diversi pro.
Innanzitutto il livello qualitativo della Serie A si innalzerebbe. Meno squadre, più necessità di lottare, ovvero maggiore competizione e qualità. Ci sarebbero poi meno partite, dando ai giocatori più tempo per recuperare. Vantaggi che si rifletterebbero in Europa, ottenendo così maggiore freschezza fisica e mentale per le gare delle coppe internazionali. E poi un campionato più competitivo attirerebbe maggiori spettatori, aumentando l’appeal del calcio italiano.
Dalla parte del ‘no’ c’è chi invece dice che innanzitutto i proventi derivanti dai diritti tv e non solo calerebbero e ci sarebbe una minor visibilità per il campionato dovuta al fatto di avere meno partite in programma. Inoltre sarebbe un danno per tanti club minori che vedrebbero sfumare la possibilità di agganciare la massima Serie e quindi beneficiare delle entrate economiche che ne derivano. Dall’altra parte, aumenterebbe il rischio di retrocessione, anche in questo caso causando un danno economico ai club medio piccoli.































