Goran Rakic è il nuovo sindaco di Mitrovica Nord, il principale comune della zona settentrionale del Kosovo a grande maggioranza serba, dove le tensioni etniche con gli albanesi, stragrande maggioranza nel resto del Paese, sono ancora molto forti. Il candidato della lista civica "Srpska", già secondo i risultati preliminari, avrebbe raccolto da solo più del doppio dei voti dei suoi tre concorrenti, l’altro serbo Oliver Ivanovic e i due albanesi kosovari Florent Azemi e Musa Myftari: circa 2700 contro un totale di 2450 a pochissime schede ancora da conteggiare. In tutto, dunque hanno votato poco più di 5mila persone, più o meno il 15% degli aventi diritto al voto: un’affluenza bassissima per gli standard occidentali, ma non inaspettata in questo caso: a Mitrovica Nord si votava per le comunali per la terza volta in tre mesi di cui l’ultima, il 1 dicembre scorso, con un’affluenza di poco superiore. Grande era l’attesa ma anche la preoccupazione da parte della comunità internazionale per la possibilità di incidenti e per l’importanza strategica delle elezioni, ma Rakic sin dal mattino presto si era detto certo della propria vittoria già al primo turno: "Mitrovica Nord avrà finalmente un nuovo sindaco – aveva detto intervistato da 9colonne durante la sua visita a uno dei sette polling center istruiti in città – Da oggi cambierà tutto: interverremo sulle infrastrutture, sulla sicurezza, ci occuperemo subito del problema della disoccupazione. Risolveremo i problemi comunali e tutti gli altri tipi di problemi". Dei quali il principale è senza dubbio quella della convivenza con i vicini connazionali albanesi, stanziati nella più grande e più benestante Mitrovica Sud, in quella che rimane l’unica città d’Europa divisa a metà, come una volta furono Berlino e Gorizia: non da un muro, in questo, ma dai blocchi ai veicoli posti sul ponte sul fiume Ibar, che divide in due la città.
Sul punto Rakic si conferma il più oltranzista tra i due candidati serbi, avendo come primo punto quello dell’istituzione dell’Associazione dei comuni serbi insieme alle altre tre municipalità del nord e alle enclavi serbe a Sud. "Il Nord sarà finalmente riconosciuto da tutte le istituzioni di Belgrado, oltre che dalle provvisorie istituzioni di Pristina, ma su questo parleremo con tutti quanti. Se avremo collaborazione, dipende molto se gli albanesi accetteranno l’atteggiamento dei serbi". Una posizione forse meno morbida di quella che avrebbe tenuto l’altro candidato servo, Oliver Ivanovic dello Spd, che ad ogni modo ha trascorso l’election day in carcere per l’accusa di crimini contro famiglie albanesi durante la guerra de 1999, e che ha riconosciuto la sconfitta. " Siamo sempre pronti a collaborare, ci aspettiamo che Rakic compia ciò che ha promesso ai cittadini", ha dichiarato il vicepresidente Ksenija Bozovic. Le elezioni si sono svolte senza irregolarità o incidenti di sorta, anche per il forte dispiegamento di forze dell’ordine ai seggi e per le vie della città: dalla Kosovo Police a Eulex passando per la missione K-For, scesa sul terreno come third responder. Per l’Italia, oltre l’esercito c’erano in campo anche i Carabinieri. Molti anche gli uomini dell’Osce, per i quali "si è trattato di una lunga giornata". Lunga, ma senza incidenti, almeno per stavolta: nella prima occasione, a novembre, le consultazioni furono boicottate dai serbi (che per la prima volta, negli accordi di Bruxelles, potevano votare in Kosovo), salvo che nel pomeriggio, una volta intuito il rischio di avere un sindaco albanese . A dicembre invece Kristmir Pantic aveva vinto al primo turno, ma poi aveva rifiutato di giurare sulla bandiera kosovara, inficiando di fatto le elezioni. La vittoria del candidato filo-serbo costituisce un tassello importante per le minoranze serbe nello Stato del Kosovo, che Belgrado considera tuttora una propria regione: un altro potrebbe andarsi a comporre con le elezioni politiche serbe del prossimo marzo, cui possono partecipare anche i serbi residenti in Kosovo. Il tutto mentre, almeno, continuano gli incontri di dialogo tra i due Paesi per arrivare, anche sotto l’egida della missione militare K-for che dura da 15 anni e che è attualmente a guida italiana, a un ripristino dei rapporti tra i due governi.
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