"Per difendere L’Aquila sono pronto a dimettermi ancora. Ho restituito la fascia tricolore, non mi sono presentato in Quirinale. E se l’Italia non sarà solidale farò lo sciopero della fame, mi darò fuoco". Lo afferma in una intervista a Repubblica Massimo Cialente, il sindaco dell’Aquila che, su pressione degli stessi cittadini, ha fatto rientrare le sue dimissioni date dopo gli arresti per corruzione del suo vice e del consigliere delegato alla ricostruzione post-terremoto.
"Il ministro Trigilia, un professore sui cui libri sono cresciuto, poche ore dopo gli arresti disse che L’Aquila non avrebbe avuto un euro in più. Ho pensato che il problema ero io e mi solo tolto di mezzo. Ho sperato che gli indiani smettessero di tirare frecce sulla carovana" afferma ma poi "paginate su Cialente travolto dagli scandali, L’Aquila fuori controllo. E poi la storia della truffa di mia cognata" mentre "è un suo diritto contestare ed è un dovere del Comune, e del sindaco Cialente, trattarla come tutti i cittadini. Voglio bene a mia cognata, ma al momento del voto sul suo caso sono uscito dalla stanza. Per tre mesi lei non mi ha rivolto la parola".
Cialente ribadisce che l’attenzione sugli appalti per evitare che vi entrasse il crimine organizzato "è stata massima. Abbiamo avuto settemila operai in centro storico, tutti insieme. Nome, cognome, ditta d’appartenenza, pass con l’ologramma. Ho trovato manovali con precedenti di camorra, li ho allontanati". E aggiunge: "Ho appena nominato vicesindaco Nicola Trifuoggi, un magistrato che, pur di sinistra, ha spezzato il sistema Del Turco. Ora è in giunta e controllerà gli atti della ricostruzione. Sono tranquillo".
































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