Povero Emiliano. Ha sognato a occhi aperti la gloria, cavalcando con astuzia un referendum dagli esiti scontati con l’unico scopo di proporsi come un possibile argine allo strapotere renziano: attraversando tutti i talkshow possibili, ha trovato ampio spazio sulle reti compiacenti ed è riuscito a canalizzare le speranze di un’opposizione tanto variopinta quanto ostinata. Gli è andata male, e la sua vanità, direttamente proporzionale a quella del premier, è rimasta schiacciata sotto il peso di un’astensione che sarebbe stata naturale e spontanea se non fosse stata mediaticamente ammantata di significati più profondi e dirimenti.
I risultati incontrovertibili, nonché il discorso allusivo del premier, evidentemente irato per lo spreco di risorse pubbliche e per la feroce guerra interna subita, hanno acceso di rabbia e di nuova acredine le sue dichiarazioni e lo hanno mostrato al pubblico dei telespettatori sull’orlo di una crisi di nervi.
Una cosa è certa: Emiliano politicamente è ormai un morto che parla, la sua corsa in avanti si è clamorosamente interrotta e le sue ambizioni personali dovranno necessariamente ridimensionarsi. Torni se può a fare il magistrato; forse in quel ruolo gli riuscirà di trovare l’occasione giusta per dare sfogo al suo rancore e magari preparare la vendetta.
































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