Francesco Rosi è stato senza dubbio un autore fuori dal comune, un regista/giornalista che ha voluto tra i primi denunciare fatti di sangue e di cronaca inseriti in tessuti che decise a suo tempo di fare a pezzi e rivelare. Il suo sguardo lucido sul degrado dovuto alla criminalità, ma soprattutto, su tutto, passione e testardaggine irrinunciabili al servizio della storia del cinema, ma anche esperienze umane. Importante la sua formazione dai tempi del ginnasio e del liceo, a Napoli, Istituto Umberto I, lo stesso del Presidente Giorgio Napolitano, fino alla vita romana in anni d’oro della cultura cinematografica del Paese.
Ricordiamo il Leone alla carriera alla Mostra di Venezia del 2012 dopo un lungo periodo personale difficile per via di un grave lutto che lo colpì.
Cineasta di razza, con incursioni nel teatro, dopo gli studi di giurisprudenza e dopo i primi lavori come illustratore di libri per bambini, aveva iniziato come aiuto di Luchino Visconti per “La terra trema”. Nel ‘52 arriva l’esordio nel lungometraggio con “La sfida”, cronaca della lotta tra cosche camorriste a Napoli, poi nel ‘59 è la volta dei “Magliari”, ambientato nel mondo degli emigranti, cui segue il capolavoro “Salvatore Giuliano”, ricostruzione, tra documentario e fiction.
Rosi fu maestro per Martin Scorsese che gli ha sempre pubblicamente tributato infinita ammirazione.
Possiamo davvero definirlo regista giornalista anche per aver denunciato le collusioni tra organi dello Stato e speculazione edilizia a Napoli, provocando proteste e accese prese di posizione.
Ricostruisce uno spaccato con il “Caso Mattei”, con protagonista Gian Maria Volontè, la figura del carismatico dirigente Eni scomparso nel ‘62 in circostanze mai del tutto chiarite. Poi “Lucky Luciano”, “Cristo si è fermato a Eboli”, e incantevole e commovente “La tregua”, con John Turturro nei panni di Primo Levi.
Il Cinema ha subito una grave perdita ma forse piuttosto che raccontare un mito, meglio lasciare che si racconti. Per Rosi “la forza del cinema è l’emozione. Però l’emozione non deve essere affidata solo al senso dello spettacolo…secondo me si deve accompagnare a un’analisi del contesto che la determina, in un necessario rapporto di causa ed effetto”.































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