I punti salienti dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi si sintetizzano in una riforma del metodo di voto molto chiara e muscolosamente bipolare. Divisione dello Stivale in circoscrizioni (rispettando i criteri di continuità territoriale e di grandezza) con la presentazione di listini piccoli ma bloccati (dai 3 ai 6 componenti per lista). Dopodiché la soglia di sbarramento sale al 5% nazionale, per i partiti raggruppati in coalizioni (12% il minimo utile per una coalizione di entrare in Parlamento), mentre dell’8% per chi corre in autonomia (forte disincentivo al frazionamento dell’offerta politica). Per coronare la stabilità degli esecutivi, è previsto un robusto premio di maggioranza al 18% che scatta per la formazione che racimoli almeno il 35% dei consensi. Se nessuno dovesse raggiungere tale soglia, previsto dopo due settimane un ballottaggio tra i primi due arrivati.
Non è contemplata alcuna possibilità di apparentamento tra partiti al secondo turno, ove il premio di governabilità si assottiglia leggermente, probabilmente per favorire la ripartizione proporzionale dei restanti seggi. Secondo le simulazioni di voto, con l’Italicum, sondaggi alla mano, in aula avremmo oggi solo 4 partiti (PD, Forza Italia, M5S e NCD).
L’intento, netto e lapalissiano, è quello di azzoppare le velleità correntizie, la polverizzazione in correnti, i ricatti ed i veti dei partitini che da sempre tengono sotto scacco in maniera sproporzionata al loro peso, la capacità di agire dei governi. Ereditiamo dal Porcellum l’impossibilità di sceglierci i nostri candidati a favore delle Segreterie di Partito (il Cavaliere è stato inamovibile su questo punto), tuttavia, in questa forma si rispettano i dettami imposti dalla Consulta.
Fonti delle ultime ore vedono un Berlusconi in slancio, propenso ad immergersi in un tour elettorale che potrebbe cominciare domenica in Puglia, per la festa del ventennale dalla discesa in campo organizzata da Raffaele Fitto, capo dei lealisti. Affidato a Verdini il compito di espletare al segretario fiorentino un dettame imprescindibile: “Se viene modificato qualcosa della legge elettorale, salta tutto”. Ovvero l’intesa, oltre che su questo punto, anche sulla riforma del titolo V della Costituzione e l’abolizione del Senato.
Renzi dunque ha il cerino in mano, con un partito che si scorna su come mettergli i bastoni tra le ruote e vede senza pudore gente immolarsi per le preferenze, quando sino a ieri hanno difeso ed utilizzato a spada tratta il sistema delle nomine. Di sicuro però, i gattopardi della Prima Repubblica non stanno con le mani in mano, infatti sono spuntati i primi emendamenti in commissione che hanno visto riesumare un “salva-Lega” poi subito cancellato e norme sul “miglior perdente” per ripescare il partito migliore tra i peggiori (rimasugli del Porcellum).
Se il sindaco di Firenze riuscirà ad imporre la linea senza vedere inquinata la riforma, sarà un evento epocale per la “Terza Repubblica”. La pietra miliare per un cammino di riforme in cui comincia a crederci pure l’estero. Non per niente, il New York Times ed il Financial Times hanno visto di buon occhio l’intesa nella sede PD.
Twitter @andrewlorusso































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