Il minuetto tra Pierluigi Bersani e Mario Monti assomiglia molto alla prova generale di un fidanzamento d’interesse in cui si dettano le condizioni per trasformarlo in matrimonio politico.
Da una parte, infatti, il segretario del Pd conferma l’apertura alla lista del premier dopo il voto perche’ la legge elettorale ‘balorda’ potrebbe dare un ‘risultato zoppo’ (cioe’ far mancare al Senato la maggioranza per il centrosinistra). Ma lo invita anche a non togliere le castagne del fuoco a Silvio Berlusconi. Dall’altra il Professore replica che e’ prematuro parlare di alleanze perche’ i democratici prima devono chiarire che cosa vogliono fare su certi problemi (come Tav, infrastrutture ed energia) sui quali l’ala sinistra ha assunto atteggiamenti di blocco. Ma chiarisce anche di sperare che il Pdl non possa coltivare speranze di rimonta.
In altre parole, i due principali attori dello psicodramma politico italiano trattano a distanza i termini di un’alleanza postelettorale che al momento si puo’ solo pronosticare sulla base di un possibile stallo al Senato. In base alle regole del Porcellum, infatti, nel secondo ramo del Parlamento i premi di maggioranza saranno attribuiti su base regionale: se l’asse del Nord dovesse conquistare almeno un paio di regioni importanti (come per esempio Lombardia e Veneto, o Sicilia), farebbe mancare a Pd-Sel la maggioranza assoluta di palazzo Madama. Rendendo indispensabile a Bersani bussare alla porta di Monti.
Un esito abbastanza probabile e che apre scenari tutti da verificare. Il Professore ha gia’ lasciato capire che chiedera’ innanzitutto il rispetto della sua agenda, senza tuttavia ambire a cariche di governo. Piu’ facile pensare ad una trattativa sulle alte cariche istituzionali: il Quirinale o la presidenza delle due Camere. Del resto Bersani, in caso di vittoria, dovra’ concentrarsi soprattutto sul modo di ritoccare la famosa agenda e di conciliare le posizioni dei centristi con quelle di Nichi Vendola. Quest’ultimo e’ un punto che lo lascia relativamente tranquillo: il governatore della Puglia ha gia’ dimostrato nella sua regione doti di realpolitik. Il segretario democratico dovra’ piuttosto rassicurare l’area moderata di non voler puntare a una riedizione dell’asse Prodi-Bertinotti conclusosi con un fallimento ma a qualcosa di realmente inedito, un nuovo centrosinistra di stampo europeo.
In questa chiave il vero pericolo e’ quello evocato da Giulio Tremonti: la necessita’ in primavera di una manovra correttiva che secondo l’ex ministro potrebbe essere ‘bestiale’. Sul punto Bersani si e’ dimostrato evasivo, limitandosi ad ammettere che il 2013 sara’ un ‘anno difficile’. Ma e’ chiaro che il rischio di interrompere subito la luna di miele con l’elettorato esiste e, al di la’ dei classici malumori determinati dalle scelte per le liste, si tratta di raggiungere subito intese implicite con i futuri alleati.
Berlusconi ritiene che questa specie di alleanza ad orologeria possa costituire il punto debole dei suoi avversari e per questo accusa Monti, l’uomo sostenuto fino a poche settimane fa, di essere ‘la stampella della sinistra’. Artificio dialettico che tuttavia e’ svuotato dalle cruciali defezioni nel suo campo: l’addio al Pdl di Mario Mauro, che si candidera’ in Lombardia con Monti insieme a Gabriele Albertini e a Pietro Ichino, e’ un colpo duro da incassare. Mauro e’ l’uomo che in Europa ha diretto il gruppo del Pdl, proviene da Comunione e Liberazione, lo ha difeso per lungo tempo con lealta’ anche nei passaggi piu’ imbarazzanti. Ora giudica un ‘tragico errore’ la nuova alleanza con la Lega e l’implicito euroscetticismo che la permea: la standing ovation con cui e’ stato accolto dal Ppe il suo abbandono del Pdl, il fatto che lo stesso Ppe abbia deciso di mettere sotto osservazioni le elezioni italiane (leggi la campagna elettorale del Cavaliere), sono segnali di una possibile frattura con il moderatismo europeo (che secondo Albertini potrebbe culminare nell’espulsione del Pdl dal Ppe).
Dunque a Berlusconi non basta qualche punto percentuale di rimonta. Anche perche’ l’espulsione potrebbe tramutarsi, come prevedono i futuristi di Fini, nella nascita di un Ppe italiano depurato delle scorie del berlusconismo. E questo e’ un rischio che l’ex premier non puo’ correre. Cio’ complica certamente la sua campagna costellata di colpi ad effetto (come la proposta di azzerare tasse e contributi a chi assume un giovane).
































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