Nel novembre del 2011, quando tutti gli opinionisti salutavano come salvatore della patria il neo-nominato senatore e premier Mario Monti, questo modesto osservatore fu tra i pochissimi che manifestò contrarietà. Appena conosciute le misure di “liberalizzazione” prese dal suo governo, scrissi che sarebbero state inefficaci (o forse qualcuno ha poi notato miglioramenti nel funzionamento dei taxi, dei notai, e delle farmacie?). Quando ancora il Pdl gli stava votando la fiducia, sono stato tra i pochi che giudicavano recessive le misure del governo.
Si possono constatare oggi i disastrosi risultati del 2012: disoccupati +22,7%, Pil -2,4%, debito pubblico +7,0%, pressione fiscale +3,9%, produzione industriale -6,6%. Era prevedibile che alle elezioni il Pd e il Pdl avrebbero pagato il prezzo del loro appoggio a Monti, insieme a quello della mancata attuazione delle riforme che si sarebbero dovute fare e che oggi finalmente tutti invocano. Per finire, e mi si perdoni questo esercizio di immodestia, desidero anche ricordare che, al tempo in cui il Pdl godeva di una maggioranza invidiabile, scrissi che l’attività del partito all’estero era inesistente e la rappresentanza era affidata a persone sbagliate. Oggi se ne vedono i risultati: il partito è transitato dalla gestione Contini (passata ed affondata nel Fli), a quella Di Biagio (passato al Fli, e salvatosi nella Lista Monti), a quella Caselli (che è andato a naufragare per conto suo, senza che il Pdl lo abbia neppure sconfessato). La conclusione è stata che il Pdl all’estero ha perso tutti i suoi rappresentanti, meno uno. A Roma, in via dell’Umiltà, ci sarà qualcuno che vorrà cambiare indirizzo?
Oggi comunque è di maggior interesse commentare quanto si sta facendo per la formazione del nuovo governo. Data la situazione di massima gravità in cui versa il Paese, e visti i risultati elettorali che non hanno determinato una maggioranza in Parlamento, appare indispensabile la formazione di un governo formato dal Pd e dal Pdl, al quale il M5S, bontà sua, possa dare di volta in volta anche il proprio (non indispensabile) appoggio. Le cose urgenti da fare sarebbero tante, ma si potranno approvare solo quelle sulle quali ci sia accordo tra i due maggiori schieramenti. Sarebbe quindi auspicabile realizzarne almeno tre, ma senza indugi.
La prima è una drastica riduzione dei costi della politica, con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, e con tagli agli stipendi e ai benefits dei parlamentari e dei manager pubblici. Non importa se queste misure, per i conti dello Stato, non risulteranno determinanti. E’ quello che chiedono i cittadini, ed è la ragione principale del loro voto di protesta. Attendere ancora a realizzarle, metterebbe a grave rischio la nostra già critica coesione sociale. La seconda misura da attuare, è di dare un immediato sollievo alle finanze delle piccole e medie imprese, da attuare con il pagamento dei loro crediti, l’eliminazione dell’Irap, e l’esenzione dei contributi per alcuni anni ai nuovi assunti. La terza è la riforma elettorale, compresa la fallimentare modalità del voto all’estero, per poi andare a nuove elezioni.
Appare invece difficile ipotizzare che un governo di questo tipo possa mettere mano a una riforma fiscale, perchè il Pd vuole la patrimoniale, e il Pdl la riduzione delle aliquote. Non potranno mai mettersi d’accordo. Lo stesso dicasi per la riduzione del numero dei parlamentari, perchè questo andrebbe fatto contestualmente alla revisione della struttura dello Stato, con legge costituzionale, il che al presente sembra un obiettivo superiore alle forze che sono in campo. Per le stesse ragioni, appare improbabile che il nuovo governo possa rinegoziare le questioni legate all’appartenenza e al funzionamento della zona euro.
Chi debba essere nominato a capo del governo, non è la cosa più importante. Dato che il premio di maggioranza, seppur di un soffio, è toccato al Pd, potrebbe essere Bersani. Se poi loro stessi si sono convinti di avere un candidato migliore, che lo mettano in campo. Il Pdl, in cambio, dovrebbe cautelarsi chiedendo previamente un accordo su chi eleggere alla presidenza della Repubblica, che è la decisione più importante da prendere, e che sarà gravida di conseguenze per i prossimi sette anni. Considerando chi sono stati gli ultimi presidenti, sarebbe giusto che si scegliesse una persona non appartenente alla storia della sinistra.
Per far queste cose, sarebbero sufficienti otto mesi, e in autunno si potrebbe tornare a votare. Perchè è erroneo sostenere che le elezioni non siano necessarie. Non inganniamoci. È evidente che una maggioranza di legislatura risulta impossibile con queste Camere. L’Italia ha già patito troppi danni. L’ondata populista, insieme ad irrazionalità e dabbenaggini, cavalca anche validissime ragioni. Togliamogli l’iniziativa, prima che sia troppo tardi.
































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