Se c’e’ un regista che comunica vitalita’, adrenalina, giovinezza e sfrontatezza, e’ Roman Polanski, che il 18 agosto compie 80 anni. ”Il vantaggio – ha detto lui di recente – sta nel fatto che ho trascorso fin troppo tempo in panchina e quindi ho qualche bonus in piu’ da spendere”. Si riferiva al biennio di reclusione coatta nello chalet di Gstaad, in Svizzera, dove ha dovuto attendere di regolare la sua ormai annosa battaglia con la giustizia americana che nel lontano ’77 lo aveva mandato a processo (e condannato) per abuso di minore. Una dubbia e sordida storia senza vincitori ne’ vinti che lo stesso Polanski ha avuto il coraggio di raccontare, dimostrando alla fine l’accanimento personale del giudice che lo accusava.
Tra il 2009 e il 2010, mentre lavorava comunque ai suoi film come ‘Ghostwriter’ e ‘Carnage’, il grande regista polacco registrava una confessione di vita in piena regola, raccolta dalla telecamera del giornalista Andrew Braunberg e diventata film col titolo ‘A film memoir’. Questa straordinaria testimonianza d’artista e di uomo e’ stata distribuita in Italia da Feltrinelli- Real Cinema con il volume curato da Giacomo Mondadori ‘Pianeta Polanski’, 8 racconti-saggio firmati da altrettanti giovani scrittori che hanno scelto il film del cuore e fanno rivivere le suggestioni di titoli memorabili come ‘Il coltello nell’acqua’, ‘Cul de Sac’, ‘Rosemary’s Baby’, ‘L’inquilino del terzo piano’, ‘Frantic’, fino ai film piu’ recenti.
Per Polanski, nato Roman Lielblig a Parigi da un pittore ebreo polacco e da una casalinga russa nel 1933, quest’anno e’ senz’altro un momento di grandi soddisfazioni: con ‘Venere in pelliccia’, proposto in concorso all’ultimo festival di Cannes, ha ritrovato tutte le sue piu’ autentiche ossessioni artistiche e il favore del pubblico, e’ atteso da omaggi in mezzo mondo, ha solo l’imbarazzo della scelta tra i progetti da sviluppare tra cui l’atteso ‘D’ sul caso Dreyfuss. Nel frattempo il cortometraggio ‘A Therapy’ con Ben Kingsley e Helena Bonham Carter e’ diventato un oggetto di culto che riassume bene, con un pizzico di ironia tipica del suo autore, tutte le nevrosi e le inquietudini psicanalitiche dell’artista. Della storia di Roman Polanski molto si sa: preoccupato del clima antisemita nella Parigi d’ante guerra, suo padre ritorno’ a Cracovia con la famiglia per poi finire nel dramma dell’olocausto quando i campi nazisti inghiottirono per sempre sua madre e rischiarono di lasciarlo orfano anche di padre.
Affidato a una famiglia cattolica polacca, il ragazzo riusci’ a sopravvivere, come in parte raccontera’ nel suo film piu’ conosciuto (‘Il pianista’, premio Oscar 2003), per poi rifarsi una vita a Varsavia dove firma a 22 anni il suo primo corto (‘Rowen’) e studia cinema diplomandosi nel ’59 alla scuola di Lodz. Oppresso dal clima della Polonia comunista, da cui e’ comunque accettato perche’ ottiene successo all’estero, firma nel ’62 il suo primo lungometraggio ‘Il coltello nell’acqua’ che diviene la bandiera di una ‘Nouvelle vague’ dell’est europeo. Tra Parigi e Londra dirigera’ subito dopo ‘Repulsion’ con Catherine Deneuve, ‘Cul de sac’ imbevuto di suggestioni beckettiane, l’esilarante ‘Per favore non mordermi sul collo’ sul cui set conosce Sharon Tate diventata presto la sua seconda moglie.
Emigrato in America (essere apolide e’ nel suo destino) raggiungera’ il successo con titoli come ‘Rosemary’s Baby’ del 1968. Un anno dopo, la sua vita e’ spezzata dalla furia omicida di Charles Manson, capo di una setta messianica, che irrompe nella sua villa di Los Angeles e massacra la moglie insieme ad alcuni amici. Polanski ritrovera’ a fatica un equilibrio e il successo grazie a ‘Chinatown’ del 1974, ma presto lascera’ per sempre gli Stati Uniti lavorando in Gran Bretagna e stabilendosi tra Parigi e Londra.
Oggi il suo cinema fa scuola nelle universita’ e il suo stile e’ ovunque riconosciuto tanto che sono ben pochi i titoli ‘minori’ nella sua filmografia. Ma il tratto che piu’ di tutti lo distingue e’ un vitalismo che si traduce nel montaggio spasmodico, nel virtuosismo delle riprese, nelle atmosfere sempre sospese tra conscio e inconscio, tanto che spesso le sue opere sono adottate nei corsi di psicanalisi. Il suo ultimo film, autentico atto d’amore per la terza moglie Emmanuelle Seigner, e’ tratto dal romanzo-feticcio di Leopoldo Von Sacher Masoch: Polanski gioca coi suoi fantasmi e mette in scena una vita in cui eccesso e desiderio, tormento e ironia vanno a braccetto. Oggi non vuole piu’ sorprendere i benpensanti, piuttosto guarda se stesso e il mondo con il distacco dei grandi. Con la certezza che sapra’ ancora portare il pubblico sull’ottovolante della sua passione di bambino mai cresciuto, capace di giocare con l’incubo e il ricordo, l’emozione e la paura, come se fosse sempre la prima volta.
































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