Se ”fare politica è corrispondere ai sogni delle persone”, bisogna riconoscere che Matteo Renzi ha cominciato subito a dare corpo alle sue stesse convinzioni. L’ambizione di varare una riforma al mese di qui a maggio (nell’ordine legge elettorale, lavoro, burocrazia e fisco) e’ uno di quei ”cronoprogrammi” che piace alla gente: poche cose chiare e subito.
C’e’ tuttavia qualcosa di berlusconiano nell’obiettivo indicato dal premier incaricato: promesse eclatanti la cui fattibilita’ e’ tutta da verificare, tanto piu’ in assenza di un progetto di governo dettagliato (che deve essere ancora presentato agli alleati e allo stesso Pd). In altre parole, il sindaco rottamatore e’ molto abile a vendere la sua immagine, come osserva la stampa internazionale. Ma lo stesso allungamento dei tempi della crisi sta li’ a dimostrare la distanza tra la teoria e la pratica. Non a caso le agenzie di rating, per quello che puo’ valere la loro opinione, non si sono fatte impressionare dal calo dello spread e sottolineano il permanere di una certa volatilita’ della politica italiana che impedisce di scommettere sul nostro Paese. Renzi ha accettato ”con riserva”: una formula di rito che trasmette il senso delle prime difficolta’.
Chi favoleggiava di una squadra gia’ pronta, di una crisi-lampo parallela alla liquidazione del governo Letta, ha dovuto prendere atto che non tutto era preconfezionato. L’impressione e’ che il segretario del Pd sia stato in un certo senso costretto dal precipitare della situazione economica e sociale a tagliare il nodo gordiano del posizionamento del Pd, a prendere improvvisamente in mano le redini del carro.
Dal colloquio al Quirinale e’ emersa una insolita cautela, proprio perche’ dal rottamatore tutti si aspettano un inizio scoppiettante sia nella formazione che scendera’ in campo, sia negli obiettivi da conseguire nei primi cento giorni. Un periodo, quello della consueta ”luna di miele” con l’elettorato, che stavolta ha uno sbocco cruciale: le elezioni europee di maggio, il primo test davvero importante per Renzi sul gradimento dell’elettorato. Cio’ spiega perche’ il leader democratico abbia necessita’ di non sbagliare un colpo.
Uno degli elementi piu’ delicati e’ costituito dal rapporto con Angelino Alfano che vorrebbe conservare almeno la poltrona di vicepremier per dare il segnale di una caratterizzazione politica anche di destra dell’esecutivo. L’interrogativo e’ se Renzi possa accettare questa continuita’ che lo distinguerebbe ben poco dal suo predecessore. Tuttavia non si tratta solo di una questione di cariche. In realta’, sul braccio di ferro Pd-Nuovo centrodestra si gioca il futuro del moderatismo italiano. Renzi sta tentando di attuare l’operazione ”vocazione maggioritaria” del Pd, fallita all’epoca di Walter Veltroni. La sua strategia si basa su due cardini: la compattezza dei democratici dietro la sua leadership e l’accordo di ferro raggiunto con Silvio Berlusconi sulle riforme (e forse sul dopo-Napolitano). In sostanza il governo si dovrebbe muovere all’ombra di quella doppia maggioranza che risulta tanto indigesta agli alfaniani. Motivo: dopo aver assicurato la vita del governo Letta, i transfughi berlusconiani rischiano di diventare – sul piano politico – i portatori d’acqua del renzismo proprio mentre l’asse tra il Rottamatore e il Cavaliere si intesta la paternita’ delle riforme.
Dal momento che alle future elezioni politiche il Ncd dovra’ forzatamente allearsi con gli azzurri per sopravvivere, rientrando in uno scenario bipolare, e’ chiaro che il pericolo e’ quello di finire marginalizzato e schiacciato tra i due partiti maggiori. E’ un rebus di difficile soluzione. Renzi deve tener conto delle attese suscitate dalla sua ”rivoluzione” e della pressione dell’opposizione dei 5 Stelle, il Movimento che alle europee promette di fare il pieno dei voti. Per svuotare queste pressioni e ”uscire dalla palude” servono risultati immediati e una squadra di ministri che sappia stupire. Un esercizio di alta acrobazia politica.
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