Di tutte le vittorie di Renzi, quella del Quirinale e’ certamente il suo capolavoro. Sotto la discreta regia di Giorgio Napolitano, che non a caso parla di un ”salto di qualita’ politico”, il segretario-premier e’ riuscito in un colpo solo a fare l’en plein: liberarsi dei condizionamenti del centrodestra, circoscrivere quelli della sinistra interna, sterilizzare i 5 stelle e portare al Colle un uomo-simbolo, erede della lezione morotea e nemico giurato della mafia.
Sergio Mattarella ha raccolto consensi oltre le aspettative (665 voti, praticamente due terzi dei grandi elettori) e una standing ovation di quattro minuti che la dice lunga sul clima di ritrovata unita’ nazionale che si e’ respirato a Montecitorio nelle ultime ore. Ore cruciali nelle quali ”re Giorgio” si e’ speso per ricucire lo strappo con l’Area popolare di Alfano e Casini che – ha spiegato – aveva le sue buone ragioni per lamentare il ”metodo” adottato dal Rottamatore ma ha anche capito come fosse giusto accettare una candidatura contro la quale nessuno, nemmeno Forza Italia, ha avuto da opporre critiche alla persona.
La battaglia sul centro era quella cruciale contro l’insidia (poi rivelatasi inesistente) dei franchi tiratori: mai era successo che un partito di governo votasse contro il candidato della maggioranza e il leader Ncd ha capito di non poter tirare la corda oltre un certo limite senza correre il rischio di fare esplodere l’intero quadro politico costruito nell’ultimo anno. In ultima analisi anche Silvio Berlusconi si e’ dovuto piegare all’evidenza: incassare una sconfitta figlia della sottovalutazione dell’abilita’ manovriera di Renzi ma anche delle divisioni interne al campo forzista.
Alla prova dei fatti Fi si e’ rivelata molto piu’ divisa del Pd e la fronda di Raffaele Fitto un fattore di rigidita’ che invece la minoranza dem non ha avuto. Certo, e’ presto per dire se Renzi sia riuscito davvero a ricompattare un partito dove l’area degli ex ds si rende conto di essere stata assorbita nella tenaglia di un segretario quarantenne e un capo dello Stato settantenne, figli entrambi della storia popolare democristiana (”mai sottovalutare gli ex dc”, era una delle battute che girava nel Transatlantico di Montecitorio ad elezione avvenuta). Lo si vedra’ ben presto nella partita delle riforme e della legge elettorale. Ma e’ innegabile che con la sua operazione Renzi abbia per la prima volta dato corpo a quella vocazione maggioritaria che Walter Veltroni aveva posto alle radici della nascita del Pd, un merito che tutti i dem non possono non riconoscergli. E di essere passato dal vecchio schema del ”governo del presidente” a quello del ”presidente del governo”, anche in vista delle riforme costituzionali che dovrebbero portare al monocameralismo, al rafforzamento del premierato e ad una ridefinizione della figura dell’inquilino del Quirinale.
Piu’ difficile sara’ per Alfano digerire il sostanziale fallimento dell’asse con il Cavaliere, che avrebbe dovuto rivitalizzare l’alleanza del moderatismo italiano all’ombra del Ppe: le dimissioni di Sacconi e Saltamartini dai rispettivi incarichi e la richiesta di Formigoni di un vertice di governo dimostrano che la ferita brucia e non bastera’ curarla con l’ asserzione che il premier ha capito di non essere alla testa di un monocolore Pd. Compito altrettanto difficile per Berlusconi. Al di la’ dello schiaffo della quarantina di azzurri che non hanno deposto scheda bianca, ampliando il successo di Mattarella, c’e’ da cominciarsi a chiedere se il Cav stia diventando minoranza all’ interno di Forza Italia.
Gli oltranzisti oggi dicono che ”sulle riforme niente sara’ come prima” (Brunetta) ma la verita’ e’ un’altra: la fronda fittiana ha dimostrato una tenuta insospettabile alla vigilia e si ingrossa ogni giorno; la firma sotto le riforme, poi, e’ l’unica speranza del leader azzurro di rimanere in gioco come padre costituente, sia pure in una posizione di subordinazione rispetto al renzismo. A non accettarlo non sono solo gli oppositori interni (”basta con le nazarenate”) ma anche gli ex alleati di Lega e Fdi che parlano di un centrodestra in coma. Esattamente come Nichi Vendola.
Sorge a questo punto la domanda se il Patto del Nazareno sia sotto la tenda ad ossigeno o abbia qualche possibilita’ di ripresa. Lorenzo Guerini, renziano di ferro, ha spiegato la road map di palazzo Chigi: la maggioranza resta quella che sostiene il governo e il Quirinale e’ un’altra cosa. L’elezione di Mattarella non avra’ conseguenza sulle riforme. Uno spiraglio lasciato al Cav. Ecco perche’ Vendola avverte: il Nazareno e’ ferito, ma non morto, e con l’elezione di Mattarella non rinasce il vecchio centrosinistra. Sel non vuole finire nella morsa della politica dei tre forni di Renzi e lascia il problema in mano alla sinistra Pd.
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