Il crollo dell’affluenza alle urne di queste elezioni amministrative ci riporta al tema della “crisi dei partiti”. Tema che invero è sempre stato presente nel dibattito italiano. Ciclicamente emerge per poi essere riassorbito dopo qualche tempo, ma in questi ultimi due anni lo scollamento tra elettori, base e dirigenti delle diverse formazioni è stato così esplicito da far comprendere a tutti di essere prossimi alla fine di un’era politica.
Nel corso del 2011 e 2012, i partiti, sia quelli al governo che quelli all’opposizione, generalmente ritenuti responsabili di non essere stati in grado di affrontare la crisi economica, oltre che a vario titolo coinvolti in scandali e malversazioni, vennero messi pesantemente sotto accusa dalla pubblica opinione. Uscirono sondaggi secondo cui la fiducia dei cittadini nei partiti politici era abbondantemente al di sotto del 10%. Io stesso pubblicai di come mediamente il 60% dell’elettorato di una formazione politica ne disprezzasse il leader o di come solo il 20% degli elettori di un partito si sentisse rappresentato dallo stesso. Poi venne la campagna elettorale e, almeno all’apparenza, gli italiani si compattarono attorno a vecchi e nuovi simboli.
Per riuscire a dare un governo al Paese ci sono voluti due mesi. Passando per la deflagrazione del Pd e per l’unicum della rielezione di Giorgio Napolitano. E nei giorni immediatamente successivi dell’incarico a Letta, i toni rispolverati dai partiti – di entrambe le parti – sono stati esattamente gli stessi di sempre. Ciò che si percepiva è che ancora una volta si volessero mettere a lavorare per loro stessi e molto meno per il Paese.
L’elettorato non è insensibile a tutto questo. Il mese scorso abbiamo chiesto agli italiani cosa avessero votato alle scorse politiche e quali fossero state le loro intenzioni di voto attuali. I quattro partiti principali avevano già in media perso un quarto dei loro voti. Per alcuni la situazione era peggiore. Questo dato, inoltre, declinato sugli specifici simboli, rivelava differenze anche significative. Scelta Civica di Mario Monti perdeva circa il 39% dei propri elettori. A seguire i 5 Stelle di Grillo, con il 21% ed il PD di Bersani con il 19%. In ultimo il Pdl di Berlusconi il cui dato non superava il 15%.
Ma ancora più forte quel 58% di chi aveva votato un partito politico alle scorse elezioni, che già si riteneva deluso dall’operato del partito medesimo.
Tra i più sfiduciati, gli elettori di Pd e Pdl, un po’ meno quelli delle formazioni minori come la Lega o Sel. Il dato del Movimento 5 Stelle al 40%: inferiore alla media degli altri partiti, ma eloquente anch’esso, se si pensa ai due grillini su cinque scontenti della loro scelta elettorale.
E’ infine da sottolineare che, tralasciando i singoli elettorati, la più alta quota di delusione si riscontrava nei 35-55enni, nelle aree con Pil più alto e in quelle con Pil più basso. Tradotto: la maggior scontentezza arriva dai segmenti della popolazione in età produttiva; dalle zone del Paese che più di altre creano reddito e da quelle che hanno maggiore bisogno di crearlo.
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