Consistenti capitali di matrice mafiosa investiti in iniziative imprenditoriali e in società di diritto brasiliano, tutte abilmente schermate attraverso prestanome e aziende di comodo che facevano da interposizione.
È quanto scoperto dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, dalle autorità giudiziarie brasiliane e dalla guardia di finanza nell’inchiesta che secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa nazionali ha portato all’arresto di un imprenditore di origini bagheresi e a un sequestro di beni e disponibilità finanziarie per circa cinquanta milioni di euro.
Il denaro, secondo le ricostruzioni investigative, sarebbe giunto a destinazione tramite sofisticati meccanismi di riciclaggio basati, tra l’altro, sull’impiego di plurimi conti di transito accesi presso istituti finanziari prevalentemente all’estero.
Al vertice di questo sistema ci sarebbe stato uno dei più autorevoli uomini d’onore palermitani, considerato dagli investigatori dal 2018 “reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli”, sino al suo arresto avvenuto nell’aprile del 2021.
I due avrebbero stretto un’alleanza d’affari con l’imprenditore bagherese. A fornire loro il supporto necessario per articolate operazioni societarie, in Italia e all’estero (Brasile, Svizzera, Hong Kong e Singapore), sarebbero stati affermati professionisti: tra questi, due operativi in Emilia Romagna.
Tra gli affari più significativi, alcune operazioni nel settore della ristorazione e, soprattutto, l’avvio, attraverso le società del gruppo, di un piano di lottizzazione di vastissime aree edificabili a ridosso della costa nordorientale del Brasile. Progettualità che si aggiunge ad altre numerose transazioni in campo immobiliare, “in grado di garantire profitti di eccezionale entità”.
Proprio alla luce di queste prospettive, secondo una stima preliminare degli investigatori, sarebbe quantificabile in oltre 500 milioni di euro il valore patrimoniale complessivo nel tempo assunto da tutte le società nell’orbita del sodalizio criminale.