Che figura, ragazzi. Se gliel’avessero detto prima, di certo Gianfranco Fini avrebbe evitato di recarsi spavaldo ai funerali di Pino Rauti. L’ultimo saluto a quello che era conosciuto come il “fascista di sinistra” si è celebrato nella basilica di san Marco Evangelista, chiesa cara alla memoria dei militanti missini per la vicinanza a palazzo Venezia e per l’usanza, iniziata negli anni ’50, di celebrare una messa in suffragio di Benito Mussolini nell’anniversario della morte. Quando è arrivato sul posto il leader di Futuro e Libertà, apriti cielo: fascisti duri e puri hanno cominciato a contestarlo con forza, fin quasi a prenderlo a calci e pugni. Saluti romani, slogan di estrema destra, orgoglio fascista e il presidente della Camera costretto ad andarsene quasi di nascosto – dalla porta posteriore della chiesa – appena 20 minuti dopo essere arrivato.
Cos’è successo? Fini ha rischiato davvero grosso. Ci è mancato poco e il presidente della Camera avrebbe potuto lasciare la basilica con un braccio rotto o il volto sfregiato. Quando la cerimonia è iniziata, intorno a mezzogiorno, il parroco è costretto a fermarsi alcuni minuti dopo. Urla fortissime provengono da fuori. E’ arrivato Fini, che immediatamente viene assalito, non solo verbalmente – insulti, fischi – ma anche fisicamente: ombrellate, calci e pugni che tentano di colpire il leader Fli. C’è persino qualcuno che sputa verso di lui: sì, sputi contro Fini.
‘Buffone’, ‘traditore’, ‘Badoglio’, ‘Vattene, non ti vogliamo’: queste le urla che arrivano da giovani in giubbino scuro e scudetto tricolore al braccio, ma anche da parte di signori eleganti, con cravatta e doppio petto.
In chiesa, ai primi banchi i familiari, la figlia di Rauti, Isabella, con il marito, Gianni Alemanno, insieme a molti ex missini diventati poi dirigenti di An. Isabella Rauti si alza, si avvicina al microfono e urla: “Vi prego non e’ questo il momento, e’ il funerale di mio padre, avete avuto altri momenti per farlo. Abbiate rispetto per mio padre e per la famiglia”.
Così Fini, nonostante tutto, riesce a prendere posto in chiesa: si siede fra le prime file, ma accanto a lui la sua guardia del corpo non ha un attimo di respiro. Deve stare attento, perché Fini rischia davvero il linciaggio. Passano venti minuti e il presidente della Camera se ne va con la coda tra le gambe, meschino, ed esce dalla porta posteriore della basilica.
La cerimonia continua a lungo. Il ricordo piu’ privato spetta alla figlia Isabella e al nipote Manfredi, che legge un verso di Ezra Pound. Mentre la bara viene portata a spalla fuori dalla chiesa tutti alzano il braccio nel saluto romano, intonano il ‘boia chi molla’ e il triplo ‘camerata Rauti, presente’. Mentre la folla si disperde lentamente qualcuno smercia gadget con i simboli del fascismo: fasci littori, statuette di Mussolini e bandiere con la croce celtica. I politici ex missini vengono praticamente ignorati, solo qualcuno lancia un timido ‘venduti’. Gli uomini di destra, quella destra che non perdona e non dimentica, si erano già sfogati con Fini. Perché più di ogni altro, per loro, il traditore è proprio lui, Gianfry.
Francesco Storace, leader de La Destra, conclusa la messa, ai cronisti ha dichiarato: “Capisco le persone, c’è tanta rabbia. Io però non l’avrei fatta la contestazione, lo dico con chiarezza: oggi era l’estremo saluto a Rauti”.
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