"Per i pazienti italiani credo che la soluzione non sia italiana". Lo dichiara il vicepresidente di Stamina Foundation Marino Andolina, indagato nell’ambito dell’inchiesta sul protocollo Vannoni, durante la sua audizione odierna in Commissione Sanita’, a Palazzo Pirelli, a Milano.
"Forse, con sentenze ad hoc, si potra’ fare qualcosa a Brescia" ma "i pazienti devono trovare una soluzione all’estero, non credo che l’Italia li salverà’", e’ l’amaro verdetto di Andolina che, pero’, denuncia un certo ostruzionismo, anche, all’estero. "A Capoverde e’ arrivata la telefonata all’ambasciata italiana dicendo di fermarli. Ora e’ stato dato l’ok".
Stesso copione a Tel Aviv, dove e’ arrivato il blocco per 12 siciliani. L’anno scorso, Andolina ha mandato una famiglia emiliana, con un figlio affetto da una variante genetica di sla, in Iraq, dove "ho un amico che fa una terapia arcaica, che non e’ un granche’ ma male non fa" e gli "ha dato un paio di mesi di sollievo. Poi, e’ riuscito a passare a Brescia, dove ha fatto 4 infusioni. E’ vivo. Spero di riprenderlo in mano per modificare qualcosa nella terapia e ottenere risultati migliori".
Andolina racconta che "i pazienti che dovevano andare a Brescia, qualche volta, li ho fatti andare all’estero, per una terapia non perfetta ma che, almeno, ritardava, un po’, la progressione. Tutte le volte che qualcuno mi chiede, io gli do l’indirizzo di cinesi, indiani e thailandesi", conclude.
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