La ciocca bionda di capelli appare tra i rovi della macchia mediterranea, le mani intente a scavare nella terra a soli dieci centimetri dal suolo in cerca di mine antiuomo o anticarro, posate dall’esercito israeliano quaranta o venti anni fa: il caporal maggiore Roberta Micoli, del 10/mo reggimento Genio Guastatori di Cremona, ha 22 anni e ha quasi finito il suo turno di sminamento a ridosso della frontiera provvisoria tra Israele e Libano. ‘E’ un lavoro faticoso e impegnativo ma da’ grandi soddisfazioni’, dice la Micoli, al suo primo incarico operativo all’estero. Il suo reggimento dipende dalla 132/ma Brigata Ariete inquadrata nella missione Onu nel sud del Libano (Unifil), a cui l’Italia partecipa con circa 1.100 uomini.
Circa quaranta uomini e donne del reggimento guastatori, comandati dal tenente Massimo Bencivenga, dall’inizio di maggio scorso e fino a fine agosto prossimo sono operativi in questa striscia di territorio, lungo il settore occidentale della Linea Blu che dal 2000 separa di fatto il Libano da Israele, Paesi in stato di belligeranza, dalla loro nascita come Stati indipendenti, da piu’ di sessant’anni.
Il loro compito e’ al tempo stesso semplice ma estremamente complesso: devono aprire due corridoi tra rocce, vegetazione e fili spinati posti dagli israeliani dagli anni ’70 dentro una striscia di territorio completamente minata. All’estremita’ di questi due corridoi, di due metri ciascuno e che corrono per circa 200 metri da nord verso sud in direzione della super-sorvegliata rete elettrificata israeliana, dovranno essere installati due piloni blu, sormontati da un grande barile di metallo dipinto di azzurro (il colore dell’Onu) e con la scritta ‘UN’. Sono i ‘Blue Pillar’ che, a coppie, demarcano sul terreno il passaggio della Linea Blu che corre per tutti gli oltre cento km di confine provvisorio tra i due Paesi.
Nel maggio 2000, non appena l’esercito israeliano completo’ il suo ritiro dal sud del Libano dopo 22 anni di occupazione, una squadra dell’Onu traccio’ – ma solo sulla carta – la ‘Linea Blu’ che segnava allora la linea del ritiro israeliano. Un tracciato che in alcuni punti non corrisponde alla linea dell’armistizio del 1949, quella che ancora oggi costituisce la frontiera provvisoria tra Libano e Israele.
L’esigenza di marcare sul terreno la Linea Blu era stata negli anni scorsi ribadita dal generale italiano Claudio Graziano, comandante di Unifil dal 2007 al 2010, che e’ riuscito, in incontri tripartiti (Unifil, militari libanesi e loro omologhi israeliani) senza precedenti a metter le due parti d’accordo su una serie di punti di passaggio. Una volta che libanesi e israeliani trovano l’intesa su ciascun punto, i caschi blu possono procedere con l’installazione della relativa coppia di ‘Blue Pillar’. ‘Finora sono stati piazzati 127 su 470 coppie di Blue Pillar’, dice il generale italiano Gaetano Zauner, comandante del settore occidentale dell’area di responsabilita’ dell’Unifil.
Ma in molti casi, come nel terreno di fronte a Marwahin, per arrivare al punto di installazione del pilastro, bisogna superare pericolosi campi minati. Sotto lo sguardo dei militari israeliani, uomini e donne del genio guastatori lavorano senza posa: ‘Ci svegliamo alle 4:30 e siamo sul posto attorno alle sei’, dice all’ANSA il tenente Bencivenga. Fa molto caldo e i guastatori lavorano con turni di 40 minuti ciascuno protetti in tutto il corpo – con l’esclusione di braccia e mani – da una scomoda imbracatura e da un casco con visiera piu’ pesante degli altri elmetti. L’arrivo del cronista coincide con l’esplosione controllata di tre granate antiuomo, modello n.4 di fabbricazione israeliana, piazzate nel lontano 1975. Nello stesso corridoio dove sara’ piazzato il Blue Pillar B26-1 c’e’ un’altra linea di mine, questa volta anticarro, di fabbricazione americana e posate dagli israeliani nel 1990.
Gli stessi israeliani, grazie al lavoro del generale Graziano, negli anni scorsi hanno finalmente accettato di fornire le mappe – o meglio, schizzi di mappe – dei campi minati creati nel corso degli anni nel sud del Libano. Ma non sempre gli sminatori italiani trovano quel che si aspettano. Sul terreno, i paletti di legno con la testa gialla, bianco-gialla, nera, rossa segnalano la presenza o meno di mine e la loro diversa tipologia. ‘A volte dove ci aspettavamo una mina non troviamo nulla… oppure troviamo tracce della sua esplosione’, spiega Bencivenga. Quel che e’ certo e’ che le mine non invecchiano mai. ‘Anzi – afferma il capitano Marco Di Lorenzo, portavoce della Brigata Ariete – col passare del tempo diventano ancor piu’ pericolose perche’ perdono la tara iniziale e possono esplodere con pressioni di peso minori’.
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