Ristrutturare la rete consolare perché si è creato squilibrio tra numero di sedi ed esiguità del personale; garantire comunque la continuità dei servizi; riorientare, riducendo in Europa il numero delle sedi per aprire nei nuovi mercati. Il piano Farnesina 2015, che la viceministro degli Esteri Marta Dassù ha presentato oggi alle Commissioni Esteri di Senato e Camera, in seduta congiunta sul processo di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare, passa dalle novità del 2014. E viene da lontano, dal primo piano di riforma del 2011.
"Abbiamo discusso approfonditamente in questi mesi con il Cgie, le organizzazioni sindacali e le commissioni, naturalmente registrando delle differenze – spiega la Dassù – E’ stato un periodo utile perché mi ha permesso di confrontarmi con i colleghi inglesi, francesi e tedeschi sulle ristrutturazioni delle rispettive reti". Risultato: "abbiamo rivisto una parte delle vecchie decisioni del 2011, decidendo che i dubbi sulla chiusura dei consolati in Australia fossero fondati. D’altra parte abbiamo confermato una linea che vede uno spostamento dall’Europa verso i mercati emergenti. Abbiamo ridotto il numero dei consolati in Svizzera, superiore a quello di qualsiasi altro Paese europeo, e aperto sedi in Cina, Vietnam e Turkmenistan. Sono decisioni dovute allo squilibrio delle risorse e al cambiamento degli equilibri mondiali".
La riorganizzazione nei mesi scorsi ha fatto registrare qualche mugugno tra le comunità italiane all’estero, ma la Dassù nota che si tratta di un processo ineluttabile e al passo coi tempi: "L’Italia – dice – sta semplicemente facendo un tipo di evoluzione in ritardo rispetto ai partner e con fondi minori, lo 0,24% del bilancio e meno della metà del personale del Foreign Office britannico. Bisogna collocare l’Italia in un mondo coerente con i tempi di oggi. Il consolato di Chongqinq sarà vitale per l’Expo, dobbiamo riuscire a garantire un milione di visti. E’ chiaro che ci saranno dei disagi iniziali, ma dobbiamo avere concezioni nuove e strumenti nuovi. Puntiamo a introdurre un forte tasso di digitalizzazione e consolati-hub per Paese, dobbiamo sfruttare delle co-location, per esempio a Santo Domingo e Honduras, aumentare il numero dei contrattisti locali, adesso siamo già a 2332 persone mentre il numero dei diplomatici è diminuito. Sappiamo ascoltare quando i rilievi ci sembrano fondati ma non deflettiamo dal nostro progetto. Deve esistere la voglia di lavorare insieme e non contro quello che è riconosciuto in Europa come uno dei migliori servizi diplomatici del mondo".
"L’Italia ha estremamente bisogno di servizi diplomatici ottimi, essenziali per la sicurezza del nostro Paese vista la situazione geopolitica. Quando l’ambasciatore Buccino rischia la vita a Tripoli sarebbe bene rendersene conto. Da venti anni i confini italiani sono instabili, dobbiamo essere un ‘full spectrum actor’ un Paese che abbia tutti i mezzi per far fronte ai problemi. Nei Balcani, per esempio, il risultato è già stato raggiunto ma la sfida della politica estera italiana deve essere quella di trasformare questa posizione da un fattore di potenziale vulnerabilità a un fattore di crescita per le alleanze internazionali e le possibilità di crescita".
"L’Italia – ha detto ancora Dassù – dipende molto dall’estero, è riuscita a sopravvivere anche grazie a una stabilità sui mercati internazionali. Stiamo parlando di un Paese di vecchia e nuova emigrazione e anche come un Paese di immigrazione: questioni da vedere come una risorsa e non come un problema. L’Ambasciata di Londra ha un programma primo approccio, dobbiamo vedere le nostre comunità vecchie e nuove all’estero come parte di un network che funzioni. Questo sarebbe facilissimo se avessimo tutti i soldi del mondo, non è così”. Per questo, “abbiamo fatto lo sforzo di selezionare le priorità".
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