Prima la fiducia delle Camere. Poi quella di Angela Merkel. Matteo Renzi supera a pieni voti quello che nella prassi pare diventato ormai il "terzo passaggio istituzionale" degli ultimi governi italiani, incassando l’imprimatur della cancelliera tedesca. "Sono rimasta molto colpita dal cambiamento strutturale in Italia, è davvero impressionante" ha detto la Merkel al termine del vertice istituzionale di Berlino. Un’ottima dichiarazione di benvenuto, che del resto somiglia incredibilmente a quello elargito il 24 novembre 2011 a Mario Monti, subentrato da meno di due settimane a Silvio Berlusconi: "Il presidente Monti ci ha illustrato i provvedimenti che l’Italia ha in programma ed è molto impressionante vedere le misure anche strutturali che il governo è intenzionato ad adottare" aveva detto allora la Merkel a Strasburgo nel vertice a tre con Nicolas Sarkozy: dei tre, a poco più di due anni di distanza, è rimasta in piedi solo lei. Bruciato infatti anche Enrico Letta, che volò a Berlino, il giorno dopo aver ottenuto la fiducia delle Camere: "Ci conosciamo già personalmente – lo aveva accolto la leader tedesca – e ci sono molti motivi per rallegrarci di questa collaborazione che inizia. In Europa abbiamo molte sfide da affrontare".
Da Monti a Renzi, passando per Letta, la premessa-promessa del neo-premier di turno alla Merkel è sempre la stessa: riforme anche dure, rispetto del patto di stabilità, ma anche il rifiuto di appiattirsi sull’austerity senza pensare alla crescita. Renzi ora non può che sperare che la sua, delle tre, sia davvero la "svolta buona": "La Merkel – dice da Berlino – sa benissimo quali sono le coperture, come lo sanno tutti i cittadini. L’Italia non vuole sforare i parametri, le regole ce le siamo date insieme e sono importanti. Ci vuole però la forza di investire sul nostro problema, e nel modo in cui abbiamo investito finora il rapporto deficit/Pil è cresciuto perché abbiamo smesso di crescere. Dobbiamo fare un processo di revisione strutturale delle spese, ma anche aiutare a recuperare la domanda interna, perché il problema dell’Italia è la crescita. Il piano che abbiamo presentato è per restituire potere d’acquisto ai cittadini, aiutare la crescita, restituire la possibilità ai cittadini di credere che l’Europa non sia la causa dei problemi dell’Italia, ma la soluzione". Quindi la precisazione: dobbiamo fare le riforme "perché ce lo chiedono i nostri figli, non i partner europei. E’ importante farle insieme – ammette Renzi – ma dobbiamo smettere di pensare che lo facciamo perché ce lo chiede Bruxelles o qualche cancelleria".
Renzi conferma comunque che il primo impatto con la Merkel è stato positivo ("ne usciamo consapevoli che c’è molto lavoro da fare, ma lo faremo insieme con grande impegno e con grande ambizione. Noi vogliamo fare delle riforme profonde") anche perché di primo impatto veramente non si tratta: sul lavoro, per esempio, respingendo le critiche al Jobs Act, l’ormai ex primo cittadino di Firenze spiega che "abbiamo nel modello della Germania un modello da prendere ad esempio. Lo dico dopo aver visto i risultati che la Germania ha ottenuto e dopo aver incontrato la Merkel da sindaco e aver avuto modo di conoscere nel dettaglio i loro meccanismi.
Non ci sono dissensi sul Jobs Act, forse solo in qualche parte del sindacato, ma il vero dissenso è per il fatto che negli ultimi anni la disoccupazione giovanile è arrivato al 40%, è quasi raddoppiato, siamo a cifre inaccettabili. Abbiamo fatto un primo passo con un decreto che semplifica l’apprendistato e la formazione, e un secondo che vuole semplificare il mercato del lavoro e darne di più". E’ qui che Renzi prova a marcare la netta differenza con Monti e Letta. "Se finora i posti di lavoro di lavoro sono diminuiti, vuol dire che quella tattica era sbagliata. Dobbiamo cambiare le regole del gioco, è come una squadra che perde per cinque anni tutte le partite: è chiaro che il gioco va cambiato". E va cambiato "subito" anche se "l’orizzonte del governo è il 2018". E anche la Merkel, probabilmente, spera di non dover conoscere prima di allora un nuovo premier italiano.
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