Ci siamo più volte espressi positivamente sull’eventualità che si tenessero elezioni primarie anche nel centrodestra, possibilmente di coalizione come quelle che hanno incoronato Bersani a sinistra, in modo tale da favorire una fase nuova ed organica nel fronte moderato. Così non è stato. Le elezioni primarie sono state deliberate a giugno da un Ufficio di Presidenza del Popolo della Libertà, tre giorni fa il vertice ad Arcore tra il presidente e il segretario politico del partito, le primarie si fanno il 16 Dicembre, come stabilito da ulteriore Ufficio di Presidenza e dallo stesso Berlusconi in conferenza stampa prima dell’esplosione di Villa Gernetto un minuto dopo la condanna choc sui diritti tv Mediaset che ha investito ancora l’ex premier. Ma ormai è fin troppo chiaro: le primarie non si fanno. E’ giorno 6, si dovrebbe votare il 16, non ci sono ancora le regole. E’ tutto un bluff. Si prende tempo perché è Silvio a chiedere tempo.
Un "andirivieni" snervante, insopportabile per gli elettori del centrodestra. Ve lo dice uno che non ha mai fatto mistero delle proprie inclinazioni dentro l’urna. C’è da dire però che la lettura rispetto all’elezione alla premiership di Pierluigi Bersani nel centrosinistra ha effettivamente diminuito il "non senso" della ri-discesa in campo di Silvio Berlusconi. Il concetto generazionale va a farsi benedire. Anzi, Bersani è in politica addirittura da più tempo del Cavaliere. E’ stato Presidente della Regione Emilia-Romagna tra il 1993 e il 1996, è stato Ministro dell’Industria, Commercio e Artigianato nel primo governo di Romano Prodi e anche nel primo di D’Alema, Ministro dei Trasporti e della Navigazione nel secondo governo D’Alema e nel secondo di Giuliano Amato. E’ stato anche Ministro dello Sviluppo Economico nel secondo governo di Romano Prodi, unica esperienza che gli ha concesso l’opportunità di essere ricordato davvero dagli italiani: l’avere abolito i costi di ricarica telefonica. E, a scanso di equivoci, quando lo si chiama "comunista" non gli si fa certo un torto, nonostante il suo attuale partito sia "democratico". Alla fine degli anni ’70, infatti, fu eletto Consigliere Regionale in Emilia Romagna proprio nel Partito Comunista Italiano, ricoprendo anche incarichi di governo regionale per un decennio, dal 1980 al 1990. Uomo delle Istituzioni navigato, quindi, che si candida a fare oggi quello che avrebbe potuto già fare in qualcosa come circa trentacinque anni di impegno politico.
Vale lo stesso per Berlusconi ovviamente, in politica però da nemmeno un decennio, disertore di mille battaglia di libertà agli occhi del suo elettorato e dell’Italia intera. Responsabile principale, agli occhi miei e di un altro pugno di milioni, dell’insediamento di un prodotto dell’antidemocrazia come Mario Monti alla guida del Paese. Un Paese ridotto come sappiamo. Un governo abusivo. Ma se a sinistra c’è Bersani, e se l’alternativa è Beppe Grillo e la sua truppa di sgangherati allo sbaraglio, quale sarebbe il problema nel ritorno in campo del re di Arcore? Angelino Alfano ha a più riprese dimostrato di essere segretario di un partito di cui non dispone, nato per trazione del carisma di un uomo che non è lui, che pure oggi lo ha seduto dove sta seduto. Per questo, a scanso di fraintendimenti, se davvero si celebrassero queste benedette elezioni primarie in moltissimi (me compreso) sosterrebbero Giorgia Meloni. Detto questo, quella di Silvio pare essere una rinnovata proposta politica. Discutibile, con tutti i nei del caso, con tutte le malattie possibili e immaginabili, ma è una proposta. Ed è certo più credibile di quella sottopostaci da un post comunista (Bersani) alleato di un comunista (Vendola), e di quella di un uomo da sbigliettamento come Grillo. Meglio i giovani, certo. Ma alle attuali condizioni, con un Renzi fuori gioco e un Alfano ridotto ai minimi termini, se ritorna Silvio che sarà mai?
*direttore editoriale Freedom24
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