Mario Monti non vuole sentir parlare del suo futuro politico, ma resta il fatto che tutta la sua azione di governo, anche a livello internazionale, appare squisitamente politica. Se i mercati di interrogano sul futuro del nostro Paese e’ anche perche’ non si vede chi potrebbe sostituirlo nel tessere l’ordito diplomatico che, con la copertura del Quirinale, sta completando in Europa. L’asse Monti-Napolitano, in altre parole, rappresenta una garanzia in piu’ per le cancellerie occidentali che sembrano aver affidato al Professore il compito di ambasciatore del rilancio dell’Unione. Ne e’ un esempio lampante il patto di ferro stretto con Fracois Hollande e con la stessa Angela Merkel. La missione europea del premier prende le mosse dall’Eliseo con il dichiarato obiettivo di dare rapida attuazione alle decisioni del Consiglio Ue sullo scudo antispread; le due tappe successive (Helsinki e Madrid) sono dedicate a convincere i ‘rigoristi’ (che sfiorano l’euroscetticismo) e gli spagnoli ad una sorta di agenda di impegni reciproci. Monti ha detto di vedere la luce alla fine del tunnel, ma e’ consapevole di muoversi con un pesante fardello sulle spalle: la stretta relazione tra l’andamento dello spread (che e’ nuovamente salito a quota 480) e l’incerto clima politico del nostro Paese. E’ un’osservazione naturale, ma che per l’appunto costringe il Professore a scendere sul terreno di cio’ che dovrebbe essere competenza dei partiti. Non a caso sono venuti dalla Lega inviti ad occuparsi piuttosto di disoccupazione e dall’Italia dei Valori accuse di giocare allo scaricabarile con le forze della sua ‘strana maggioranza’.
Il premier, nel solco dei moniti del capo dello Stato, vuole ‘esorcizzare’ uno scenario con elezioni a scadenza naturale, ma senza riforma elettorale e in un clima di rissa tra i partiti che lo appoggiano. Scenario che di fatto renderebbe vani i sacrifici fin qui compiuti e alimenterebbe i sospetti di Bruxelles sulla nostra capacita’ di proseguire nella linea del rigore dei conti pubblici. E’ anche per questo motivo che il Colle ha fatto sapere di non essersi mai pronunciato sullo scioglimento anticipato delle Camere e di aver solo ricordato come si tratti di materia delicata che non puo’ essere strumentalizzata a fini di parte. Un modo, dunque, per allontanarne la prospettiva costringendo le forze di maggioranza a confrontarsi nel merito.
Naturalmente tutto cio’ allunga sulla litigiosita’ un po’ irresponsabile della classe politica italiana l’ombra del commissariamento e infatti da destra e da sinistra si levano voci che sottolineano come sia impossibile una scissione di responsabilita’ dopo una coda di legislatura con 31 voti di fiducia in sette mesi. Eppure Monti non rinuncia a ricordare, con tono vagamente pedagogico, che non e’ solo il governo a dover fare i famosi ‘compiti a casa’, ma anche i partiti. Tradotto: e’ ora che sulla riforma elettorale si svolga un dibattito alla luce del sole per sgombrare il campo dal dubbio che qualcuno voglia davvero votare con il ‘Porcellum’ (come si rinfacciano a vicenda Pdl e Pd).
A parole tutti vogliono restituire la scelta dei parlamentari ai cittadini. Ma e’ pur vero che tra le preferenze e i collegi la distanza e’ grandissima. Sembra esserci una disponibilita’ al confronto, quello che manca e’ la base, cioe’ un testo condiviso almeno al 70 per cento: e senza di cio’ non e’ possibile nessun accordo anche perche’ – come ricorda il Pdl Quagliariello – la legge elettorale ha complessita’ che richiedono tempo per essere attuate.
Il vero nodo resta la nebbia che avvolge il dopo-Monti. Tutti sono consapevoli che difficilmente la crisi potra’ dirsi superata nella prossima primavera: dunque le larghe intese saranno ancora necessarie. Si tratta di vedere come arrivarci. Con quali rapporti di forza. Pierluigi Bersani ha presentato la ‘Carta degli intenti’ del Pd, un programma che dovrebbe mettere insieme progressisti e moderati ‘per realizzare quelle riforme liberali che la destra non puo’ fare’. Una base per l’alleanza Pd-Udc magari allargata a Vendola? Antonio Di Pietro protesta, dice che si tratta del programma di Vasto, inconciliabile con quello di Monti. C’e’ anche un altro interrogativo: se sara’ impossibile mettere d’accordo Casini e Vendola, democratici e centristi otterranno da soli la maggioranza? Se non ci riusciranno, il Pdl risultera’ indispensabile per il futuro del montismo. Ecco l’importanza della riforma elettorale e della battaglia che vi infuria intorno.
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