Aldo Lamorte, Senatore della Repubblica Orientale dell’Uruguay, esponente dell’Unione Civica e candidato a Deputato alle ultime elezioni politiche italiane nella Circoscrizione Estero per il MAIE (Movimento Associativo Italiani all’Estero) con una lettera a Mimmo Porpiglia, direttore di Gente d’Italia, ha deciso di dare eco alla propria battaglia personale e politica. Volendo fermare il progetto di declassamento del Consolato d’Italia a Montevideo. Una battaglia che è nata in sordina la sua, una scelta voluta, determinata dal desiderio di privilegiare il “fare all’apparire”.
Una lettera quella di Lamorte, diretta anche all’Ambasciata d’Italia in Uruguay e alla Farnesina, affinché la determinazione degli italo-uruguayani come lui (e sono tanti) pronti a dare battaglia pur di non rinunciare a un consolato a cui hanno diritto, risuoni chiaramente in tutti gli ambienti istituzionali competenti. Un progetto a tutto sostegno dell’Italia il suo, “che le nostre autorità diplomatiche non hanno minimamente considerate”denuncia. Lamorte ha proposto di sopperire alle difficoltà finanziarie italiane pagando di tasca sua addirittura gli stipendi degli impiegati, potenziando la rete consolare “o donando la sede di qualche associazione regionale che si è già mostrata disponibile”spiega. Ma l’indifferenza è stata “totale” e nulla è cambiato quando la proposta è andata oltre – denuncia – si potrebbero utilizzare proprietà dello stato italiano, come la Casa degli Italiani, per il Consolato” spiega.
Ferito e amareggiato, Lamorte, come molti altri italiani in Uruguay, ha comunque deciso di andare avanti. Di spendersi per l’italianità in cui crede e che ingiustamente gli hanno consigliato di dimenticare. Nell’Uruguay del silenzio assenso del Comites al trasferimento del consolato in Ambasciata e dell’apatia istituzionale, contrastate solo da un’iniziativa popolare delle associazioni, una petizione di sensibilizzazione per evitare il declassamento del consolato, Lamorte alza la voce con fermezza. “Non mi fermeró di fronte all’apatia – spiega, – perché chi ha “voluto cercare di distruggere questa comunità per salvaguardare interessi personali”, fortunatamente non ci è ancora riuscito. E non ci dovrà mai riuscire, non deve trovare spazio. Nemmeno minimo. Anche il trasferimento del Consolato presso i locali dell’ambasciata sarebbe un errore il primo passo verso un progressivo abbandono. Tante le domande che pone, come ad esempio quella relativa agli introiti determinati dagli 80.000 passaporti emessi negli ultimi anni: più di 6 milioni di euro. “Gli italo-uruguayani per che cosa hanno pagato? Per essere ridotti a italiani di ultima categoria? Senza un consolato adeguato alle dimensioni della collettività italo-uruguaya? – denuncia – Ora basta! E’ tempo di svegliarsi e chiedere il giusto.
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Egregio Direttore,
ho seguito con attenzione gli articoli pubblicati sul suo giornale negli ultimi giorni riguardo il progetto di declassamento del nostro Consolato. E sono amareggiato. Dispiaciuto e anche francamente addolorato, offeso e ferito. Amareggiato e dispiaciuto come tanti altri italiani, che si sentono sempre più abbandonati da un Paese in crisi, che preferisce operare continui tagli fingendo di razionalizzare. Ferito, perché si sta avviando un progetto di progressivo abbandono degli italiani all’estero adducendo la necessità di questo e senza lasciare spazio agli italiani all’estero, affinché intervengano a sostegno del proprio Paese. Dove magari non sono nati e non hanno mai vissuto, ma che sentono proprio. Ferito, sì, perché ci si può arrabbiare con qualcuno che non si conosce e invece si viene feriti da chi ci sta vicino. Che abbiamo sempre considerato importante, come l’Italia, la mia, la nostra Patria. Che ci ignora, provocando un profondo sentimento di dolore: una ferita determinata dal rifiuto dei propri figli che vivono all’estero.
Siamo italiani, sono italiano e mi sento ferito. Sono italiano prima di essere politico e non posso lasciare che tutto ciò avvenga senza che ci si attivi per un intervento serio e razionale. Ci trattano sempre più come italiani di seconda categoria. Giustificandosi dicendo che in fin dei conti noi non contribuiamo a sostenere i costi dello stato, che usufruiamo soltanto dei servizi e quindi dobbiamo prendere quello che da Roma possono offrirci. Razionalizzazione, dicono. Ma non vedo alcuna razionalità. E con la crisi, ovviamente, ci possono offrire sempre meno. Eppure noi non siamo meri utilizzatori di servizi. Non siamo dei parassiti dello stato, pronti a prendere e mai a dare. Noi la nostra parte abbiamo cercato di farla e cerchiamo in tutti i modi di essere utili. Senza urlarlo, senza sbraitare o promettere ciò che non si può mantenere, magari. Ma lavorando sul serio.
Abbiamo, io personalmente e l’associazione, offerto la sede per il Consolato per non pagare più l’affitto. Una donazione in piena regola: la nostra sede diventa sede del consolato italiano. Basta pagare luce e gas. Abbiamo proposto di coprire lo stipendio di funzionari, di digitatori o di addetti all’ufficio passaporti, per velocizzare le pratiche. L’abbiamo proposto tanto alla Console come all’Ambasciatore e loro non ci hanno degnati di un: “Proviamoci”. Chi si sente beffeggiato, dovrebbe far finta di niente? Mi sono sentito dire che la comunità italiana all’estero è finita ed è inutile cercare di mandarla avanti. Capisce, Direttore? Tutto quello che mi hanno trasmesso i miei genitori, tutto quel sacrificio che hanno fatto, non vale più niente? Io non devo più sentirmi italiano? Come sarebbe? Ci prendono in giro? Le stesse autorità italiane mi dicono di non sentirmi italiano. Benissimo. La patria, il Paese dei miei genitori, basta? Una specie di anarchia totale? Dovremmo dimenticarci delle nostre origini, del nostro sangue? Di quello che sentiamo? E’questa l’Italia di oggi? Un no secco e abbandonare il terreno? Non ci voglio credere. E so di non essere l’unico, in Uruguay siamo 120.000 e almeno altri 15.000 sono in attesa del passaporto. Vogliono toglierci la struttura rappresentativa pezzo dopo pezzo, facendo in modo o sperando che non ce ne rendiamo conto.
Forse, come politico avrei dovuto apparire di più. Annunciare queste mie iniziative. Ma non amo apparire. Sono una persona che sente sua la missione del bene comune, della politica se vogliamo. E all’urlare, preferisco il fare. I buoni risultati poi, si possono sempre annunciare pubblicamente. Lo ripeto Direttore, c’è stata un’offerta concreta. L’ho fatta personalmente. Non è stata considerata, nemmeno considerata. Se ne rende conto? Io non me ne voglio rendere conto. Ho cercato un incontro con le autorità, come politico e come semplice cittadino, che sente di dover fare la sua parte e sono stato trattato a pesci in faccia.
Egregio Direttore, vorrei che queste mie parole arrivassero a Roma, alla Farnesina, per dire ancora una volta, una volta di più, che a noi italiani in Uruguay importa dell’Italia. Che ci vogliamo spendere per il nostro Paese. Ma il nostro Paese deve accettare questa mano. O si distruggerà un patrimonio importantissimo, per l’inerzia di pochi. Bisogna muoversi ora, immediatamente. E avere il coraggio di prendere nuove strade. Un nuovo cammino. Un paese si costruisce attraverso la collaborazione di tutti. Nel caso dell’Italia si può contare su un’immensa popolazione all’estero e si tratta di una risorsa. L’abbiamo ripetuto un milione di volte, ma nessuno ci ha mai ascoltato davvero. Sembravano parole vuote. Di pochi nostalgici, membri di una comunità morente. Una comunità che in molti hanno voluto cercare di distruggere. Per salvaguardare interessi personali. Ma non ci sono ancora riusciti, per fortuna. Questo è il mio appello, di italiano prima che di politico, perché si apra davvero alla via all’innovazione. Senza ricorrere incessantemente a semplici tagli. Se la Farnesina conta con un DG per le Risorse e l’Innovazione che voglia fungere effettivamente da promotore dell’innovazione, che inizi da qui. Dalla collettività italo-uruguaya. Dalla nostra proposta. Facciamolo questo Sistema Italia, devono farci partecipare però. Basta l’umiltà di aprirsi a vie nuove. E se non si volesse una sede regionale o una casa che potremmo donare, benissimo. L’Italia lo spazio ce l’ha già. Smettiamo di negarlo.
La Casa degli Italiani è italiana, o no? Serve solo per riunioni e raviolate? Con una donazione e dei lavori potrebbe tranquillamente ospitare il Consolato. Dobbiamo avere paura di dirlo? A Roma devono considerare tutto il tema Uruguay, un’analisi parziale è ingiusta. Questo Paese è servito solo per “vendere” 80.000 passaporti in pochi anni? Per guadagnarci più di 6 milioni di euro da mandare a Roma, dicendo che il Consolato non si può più mantenere? Quei 6 milioni a che cosa sono serviti? Li abbiamo spesi tutti per Montevideo e l’affitto del Consolato? Ne dubito. E ancora, Egregio Direttore, il Consolato in Ambasciata lo potrei anche accettare, ma umiliarci con un declassamento, no. Dopo tanti anni di Cancelleria consolare e impegno per ottenere un Consolato semplice, continuando a lavorare per vederlo elevato a Generale, no. Credo che l’Uruguay non meriti questo affronto, questo voltafaccia dell’Italia. Non ci fermeremo al primo no, Egregio Direttore. Andremo avanti, dobbiamo andare avanti.
Aldo Lamorte (MAIE)
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