Il via libera dell’Onu alla Palestina come stato osservatore potra’ smuovere le acque ferme e stagnanti del processo di pace o aggiungera’ problemi a problemi rendendo ancora piu’ ingovernabile la situazione di un Medio oriente in evoluzione rapida e imprevedibile? Questa’ e’ la domanda che circola nei corridoi del Palazzo di vetro dell’Onu e nelle capitali di tutto il mondo. Nessuno probabilmente scommetterebbe un soldo su una delle due opzioni, ma certo – al di la’ del giudizio sulla decisione dell’Onu – ci sono molti dubbi e punti interrogatici sul futuro, ma anche alcuni elementi chiari che emergono dalla svolta di questa sera, mentre in Cisgiordania e a Gaza si festeggia e mentre in Israele si guarda con preoccupazione e un senso di rabbia alla decisione delle Nazioni Unite.
Vediamo i punti certi. C’e’ una comunita’ internazionale divisa e incapace di coordinarsi su un nodo diplomatico nevralgico che si trascina da decenni e che, da decenni, influenza la geopolitica globale. Una comunita’ internazionale che ragiona con parametri antichi e fortemente ideologizzati. C’e’ un’ Europa alla deriva, preda degli interessi nazionali che continua a spaccarsi su tutto, dagli aiuti alla Grecia al futuro cammino di integrazione e che sul voto sulla Palestina ha sinistramente replicato il copione gia’ visto con la guerra in Libia e con la crisi siriana. C’e’ un mondo nuovo che avanza, il mondo dei Brics e dei Paesi emergenti che non possono piu’ essere relegati a semplici potenze economiche. Sempre di piu’ stanno diventando realta’ politiche che vogliono avere una voce all’interno del consesso internazionale e che gia’ hanno una chiara e netta linea politica.
Ci sono Nazioni Unite che trovano un voto all’Assemblea generale ma che restano miseramente bloccate al Consiglio di sicurezza, vero cuore pulsante e organismo esecutivo. Che riproduce, pero’, la fotografia di un mondo che non esiste piu’ e che risale alla fine della seconda guerra mondiale. C’e’ un’autorita’ palestinese a sua volta divisa tra i moderati dell’entourage di Abu Mazen, oscurati dal recente conflitto a Gaza, e gli estremisti di Hamas, che vive questo momento come una giusta rivalsa dopo decenni di fallimenti ma che adesso dovra’ decidere come gestire questo successo, se arrivare fino alla Corte dell’Aja, provocando nuovi inasprimenti, o fermarsi a riflettere. C’e’ poi Israele stretta tra le elezioni del 22 gennaio e un crescente senso di isolamento, con la precarieta’ della situazione a Gaza, i timori al confine nord tra la crisi siriana e Hezbollah e il dossier iraniano sempre aperto sul tavolo. Ci sono gli Stati Uniti che forse dovrebbero guardarsi allo specchio e chiedersi cosa hanno fatto negli ultimi anni mentre il Mediterraneo esplodeva e la Primavera araba prendeva percorsi diversi da quelli iniziali.
E, poi, c’e’ il Medio Oriente e, appunto la Primavera araba. Il voto all’Onu arriva nel giorno in cui nel mattatoio siriano avviene l’ennesima strage di bambini, migliaia di morti e continui fallimenti diplomatici. Il voto dell’Onu arriva anche nel giorno in cui l’assemblea costituente egiziana approva all’unanimità l’articolo 2 della costituzione che fa riferimento ai ‘principi della sharia’, la legge islamica, come base per le leggi nel paese. E’ una scelta fatta da quell’Egitto, guidato dai fratelli musulmani, che fino a ieri era stato elogiato per la mediazione su Gaza, ma che, forse, oggi fa nascere qualche dubbio nuovo. Questi sono i dati certi. Difficile pensare che la decisione dell’Onu – al di la’ della giudizio sulla scelta dell’Assemblea generale – possa, in questa fase, contribuire a riprendere il percorso della strada del dialogo e del processo di pace israelo-palestinese. Le prime reazioni sembrano indicare viceversa un ulteriore inasprimento della situazione. A questo punto, serve, sulla scia di un voto che comunque va a smuovere una situazione incancrenita – una discesa in campo decisa della comunita’ internazionale. Non certo dell’Europa, apparentemente incapace di presentarsi con una unica politica estera di fronte al principale dossier internazionale. Tocchera’ a Barack Obama. Non avra’ elezioni tra quattro anni, potra’, piu’ o meno serenamente, provare a portare avanti una sua politica estera verso il Medio oriente. Potra’ (dovra’?) dimostrare di essere un presidente capace di avere una visione che vada al di la’ dei confini della crisi economica americana. Con una consapevolezza: sul Medio Oriente, se affrontera’ sul serio questo dossier, puo’ giocarsi buona parte del giudizio sulla sua presidenza. E, forse, anche un posto nella storia.
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