Da Washington a Riad, da Roma a Berlino, le sollecitazioni si concentrano sul Cairo e sul suo presidente, il fratello musulmano Mohamed Morsi perchè eserciti tutte le pressioni possibili su Hamas, il movimento radicale – ‘terrorista’ per Israele e filiazione molti anni fa proprio della Fratellanza Musulmana – che continua a lanciare razzi contro il suolo israeliano in risposta all’offensiva dello Stato ebraico.
Oggi i missili lanciati da Gaza sono arrivati a creare panico perfino a Gerusalemme, mentre i morti palestinesi da bombardamenti israeliani sono arrivati quasi a 30 e i feriti a piú’ di 250.
Ma il presidente egiziano, Mohamed Morsi, il fratello musulmano che per correttezza formale si e’ dimesso dalla confraternita che lo ha fatto eleggere, si trova costretto tra due fuochi: da una parte gli equilibri internazionali che gli chiedono di garantire almeno la tradizionale ‘pace fredda’ con Israele. E per questo ha inviato il suo primo ministro, Hisham Kandil, a Gaza, con un gruppo di ministri ma anche di esperti di intelligence per mediare una improbabile tregua o un cessate il fuoco con Hamas. ‘Negli ospedali di Gaza ho visto cose che l’Egitto non potra’ dimenticare’, ha poi commentato Kandil, al suo rientro al Cairo.
D’altra parte il rais egiziano che ha sostituito Hosni Mubarak dopo la rivolta di piazza che lo fece andar via nel febbraio 2011, e che gestisce con difficolta’ una situazione economica interna disastrosa per la quale gli aiuti economici statunitensi sono fondamentali, non puo’ rinnegare una delle principali istanze dei popoli islamici: la difesa dei diritti dei palestinesi. ‘L’Egitto non lascera’ Gaza sola di fronte all’aggressione vergognosa di Israele’, ha scandito oggi Morsi in un discorso durante la preghiera settimanale del venerdi’ nella moschea Fatima Sharbati, al Cairo. Mentre i fedeli cantavano ‘Ebrei, l’esercito di Maometto ritornerà’, Morsi ha sottolineato con enfasi che ‘a nome di tutto il popolo egiziano dico che l’Egitto di oggi e’ diverso da quello di ieri, e gli arabi oggi sono diversi da ieri. E dico fiducioso che l’Egitto non lascera’ Gaza sola’.
Toni di retorica elevata, secondo alcuni osservatori, che non potranno tradursi in effettive rappresaglie contro Israele, pure desiderate dai radicali salafiti – come la revisione degli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto del 1979 – o azioni militari di alcun genere, anche se ieri reparti della seconda armata di Ismailiya si sono avvicinati alla linea di confine con Israele. ‘Siate pazienti come lo sono stati i compagni del profeta ai tempi loro – ha gridato un predicatore in un’altra moschea – l’esercito egiziano non puó’ intervenire in Palestina, non possiamo andare a combattere a Gerusalemme’.
Sarebbero possibili tuttavia alcune azioni come il congelamento di rapporti tra servizi segreti israeliani e egiziani, pur continuati dopo la caduta di Mubarak e l’elezione di Morsi, la revoca di accordi commerciali esistenti, dopo il ritiro dell’ambasciatore da Israele, che il presidente ha disposto due giorni fa. Tutte ipotesi che sembrano molto improbabili con il tono conciliante che il presidente fratello musulmano ha mantenuto nei colloqui telefonici ieri con Barack Obama, oggi con il premier italiano Mario Monti, che gli hanno indicato che alla mediazione per una tregua urgente non esistono ora alternative. Se non veramente drammatiche.
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