Per riparare i danni del maltempo spendiamo un milione di euro al giorno. Solo nell’ultimo triennio – dalla colata di fango in provincia di Messina a inizio ottobre 2009 – lo Stato ha stanziato, infatti, piu’ di un miliardo di euro per le emergenze causate da calamita’ di natura idrogeologica in tredici Regioni.
Cifre molto elevate che coprono pero’ solo una parte degli ingenti danni censiti in conseguenza di frane e alluvioni. In Sicilia, Veneto, Toscana e Liguria, le regioni colpite dagli eventi piu’ gravi in questi ultimi 3 anni, e’ andato l’80% delle risorse stanziate, ma i danni ammontano a 2,2 miliardi di euro circa, quasi il triplo delle risorse messe a disposizione dei Comuni colpiti. Il restante 20% dei fondi per l’emergenza e’ andato alla Calabria, la Campania, la Puglia, le Marche, l’Abruzzo, l’Emilia, il Piemonte, il Friuli e la Basilicata. Il dato viene fornito da Legambiente, secondo cui "nel frattempo la prevenzione tarda ad arrivare. A fronte di una spesa prevista di 44 miliardi, negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorita’ di bacino, per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. Fondi che sono destinati a coprire solo i lavori piu’ urgenti, ovvero 4.800 interventi considerati di maggior urgenza su un totale di 15 mila interventi previsti da tutti i PAI".
La meta’ circa di queste risorse e’ stata stanziata attraverso gli accordi di Programma siglati tra il Ministero dell’ambiente e le Regioni, proposti a partire dal disastro di Messina del 2009 e siglati tra il 2010 e il 2011. Ma ancora oggi dei 2,1 miliardi messi in campo attraverso il cofinanziamento Ministero-Regioni, solo 178 milioni sono stati effettivamente erogati e solo il 3% degli interventi previsti e’ stato realizzato o e’ in corso di realizzazione.
"Per pianificare e programmare le politiche territoriali considerare gli effetti dei cambiamenti climatici e’ una realta’ imprescindibile – sottolineano gli ambientalisti -. Soltanto dai dati registrati dai pluviometri in occasione dei principali eventi recenti, si nota come in poche ore sia piovuto piu’ della meta’ di quanto avveniva mediamente in un anno. La distribuzione delle precipitazioni nell’arco dell’anno risulta, inoltre, molto disomogenea, con periodi di forti piogge e altri di forte siccita’, come illustrano l’estate appena trascorsa e gli eventi legati al maltempo delle ultime settimane".
I fenomeni metereologici intensi hanno perso la loro eccezionalita’ per diventare sempre piu’ frequenti, come confermano i dati Ispra (Annuario dei dati ambientali 2011, Ispra 2012) relativi alla quantita’ di pioggia caduta nei principali eventi alluvionali dal 2009 ad oggi.
In Sicilia, invece, nell’evento del 2009 la quantita’ di pioggia caduta in una sola giornata e’ stata pari al 78% della precipitazione media annua di tutta la regione. Negli eventi alluvionali della Toscana del 2010 e 2011, in una sola giornata, la quantita’ di pioggia caduta al suolo e’ stata pari a circa il 40% delle precipitazioni medie annue della regione.
In Liguria la quantita’ di pioggia caduta nelle due giornate piu’ critiche del 2011 tra fine ottobre e inizio novembre ha superato il 65% della piovosita’ media annua della regione. E se frane e alluvioni non sono purtroppo una novita’ nel nostro Paese, i dati disponibili dal 1948 al 2011 mostrano come le regioni colpite siano raddoppiate negli ultimi dieci anni, passando da quattro a otto.
"Il dibattito e’ tuttora incentrato su come reperire le risorse da destinare al contrasto del rischio idrogeologico, che e’ un punto fondamentale – commenta il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Occorre anche chiedersi, pero’, quale debba essere un’efficace politica di prevenzione e difesa del suolo, che non si limiti a interventi puntuali. Serve un Piano nazionale che preveda un’azione urgente ed efficace per la mitigazione del rischio, che stabilisca strumenti e priorita’ d’intervento e formuli una nuova proposta di gestione del territorio. Per questo e’ necessario il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori d’interesse: la comunita’ scientifica, gli esperti, gli enti competenti, le amministrazioni locali interessate, il mondo dell’agricoltura, le associazioni ambientaliste e i cittadini che vivono nei territori a rischio". "Inoltre – aggiunge Cogliati Dezza – la manutenzione del territorio assume un ruolo cruciale, soprattutto se tradotta in presidio territoriale svolto dalle Comunita’ locali. Infine si dovra’ applicare una politica attiva di ‘convivenza con il rischio’, sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione".
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